“Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie”.
Inizia così questo romanzo, con una lettera che Vanda scrive al marito che ha lasciato la casa familiare lasciandola in preda ad una tempesta di frustrazioni, di rabbia e di domande prive di risposta; lei e Aldo si sono uniti in matrimonio giovanissimi, un po’ forse per desiderio di indipendenza, per poi ritrovarsi a trent’anni con una famiglia a carico in una società profondamente cambiata, che lo porta alla fuga, senza nemmeno tentare un dialogo con Vanda, semplicemente per trovarsi a fianco di una donna giovane e piena di leggerezza, che gli regala la spensieratezza assente dal rapporto con la moglie.
L’intero svolgimento del libro mette in evidenza la vita di Aldo a Roma in contrapposizione a quella di Vanda e dei propri figli a Napoli, nelle difficoltà di una donna che da un giorno all’altro si ritrova a fare i conti con la solitudine e con gli inevitabili problemi finanziari, una lunga riflessione incentrata su quanto si è disposti a sacrificare pur di non sentirsi in trappola, ma anche su cosa perdiamo quando ritorniamo sui nostri passi, il tutto quindi imperniato sui quei “lacci” che legano gli individui gli uni agli altri e che delle volte basta un niente a farli riaffiorare.
E’ una narrazione che ci fa vivere una fuga, un ritorno, una serie di fallimenti, il tutto in un libriccino sottile ed introspettivo; se ne è parlato molto bene ma, nonostante io forse vada un po’ controcorrente, ho quasi sostenuto la posizione del protagonista quando ha scelto la fuga da una donna che mi è risultata insopportabile dopo poche righe e che, anche volendo analizzare la situazione dal punto di vista dell’autore, non mi ha lasciato una bella sensazione nemmeno al termine della lettura.
E’ un libro sul ritorno? Sì. Ma siamo sicuri che il ritorno sia sempre la soluzione corretta?
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