
Ultima tappa: Novi Sad, oramai non molto distanti dall’Italia, visitata in due giorni sotto un caldo atroce, letteralmente saltellando da una chiazza d’ombra all’altra per non far ustionare le zampette alle nostre cagnoline. Il parcheggio come al solito è lontano dal centro, al quale si accede per il tramite di un ponte immenso che attraversa il Danubio ma che già al primo sguardo appare molto gradevole, in effetti molto diverso dalle città del sud e del centro della Serbia; qui lo stile architettonico appare molto simile a quello della Slovenia e dell’Austria, ma iniziamo con qualche traccia storica per contestualizzare quest’ultima visita.
Alla fine del XVII secolo la zona (siamo nella Vojvodina) divenne un possedimento degli Asburgo e alla popolazione ortodossa della regione venne vietato di abitare a Petrovaradino, motivo per il quale nel 1694 venne fondato un nuovo villaggio sulla sponda sinistra del Danubio, chiamato Ratzen Stadt (Città dei Serbi) o Petrovaradinski Šanac. In seguito vennero costruiti i primi quartieri e i residenti aumentarono, da qui la città venne chiamata ufficialmente Neoplanta, ossia Nuovo Insediamento, tradotto dal latino, quindi Novi Sad.
Il centro cittadino non è molto esteso ma estremamente elegante, arricchito da una vasta zona pedonale, preceduto, all’ingresso in città, dall’accesso alla Petrovaradinska Trdava, una fortezza vastissima e che visitiamo appena lasciato il parcheggio. Essa copre, con i suoi bastioni, rivellini e contrafforti, una grande spianata sulla riva destra del Danubio; tutta l’area era abitata dai Celti, in seguito sostituiti dai Romani, fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, quando i Bizantini rinsaldarono i confini del loro stato e la precedente roccaforte romana di Cusum venne ingrandita con il nome di Petrikon, poi conquistata dagli Ungheresi. Senza inondarvi di ulteriori notizie vi basti sapere che la sua posizione sul Danubio era strategica e quindi fortemente ambita, tant’è che ben presto vedremo la presenza dei turchi e la convivenza con un gran numero di famiglie musulmane. Oggi la città è parte della provincia autonoma della Voivodina, appare molto curata e vivace, quindi vi accompagno nella visita più calda del viaggio.








La particolarità di questo orologio risiede nel fatto che le sue lancette d’oro segnano, rispettivamente, l’ora con la lancetta lunga e i minuti con quella corta; esse sono state restaurate di recente e ricoperte con la vernice bianca, probabilmente per ragioni di economia ma, secondo alcune voci, per nascondere l’oro sottostante ai malintenzionati.


















Qui si conclude il nostro viaggio serbo, terra in cui non pensiamo di ritornare avendo visitato davvero molte città, ma ne approfittiamo per godere ancora di una visita lungo il viaggio di ritorno, infatti ci fermiamo al monastero di clausura di Pleterje, situato in una valle ai piedi dei monti Gorjanci, in Slovenia. Esso fu fondato nel 1403 dal conte Hermann II di Celje, per poi, dopo molteplici acquisizioni da parte degli Asburgo e dei Gesuiti, passare sotto l’egida statale ed essere completamente rinnovato nell’arco di un quinquennio. La Certosa subì gravi danni nel corso del secondo conflitto mondiale ma è rimasta sino ad oggi un monastero certosino i cui edifici risalgono alla seconda fondazione alla fine del XIX secolo, ad eccezione della chiesa gotica della Santissima Trinità, che sopravvive al precedente monastero. Il tutto presenta una piccola rivendita in cui acquistare degli ottimi vini prodotti in loco dai monaci, di qualità degna di nota e grazie alla cui vendita il monastero riesce a mantenere la struttura.



Il rientro a casa ci ha lasciato un paio di giorni liberi, trascorsi lungo un corso d’acqua balneabile, in terra slovena, che ci ha permesso di riprendere fiato, di riposare e di rinfrescare le povere cagnoline che, va detto, sono state eroiche. Bubu la vedrete anche nei prossimi post che vi proporrò a breve, ma ve lo dico con il cuore il mano poiché poche ore fa è volata via lasciandoci in un dolore inimmaginabile… questo ultimo post vuole essere un tributo ad un cane eccezionale che capiva ogni parola le rivolgessimo, un cane coraggioso e di gran carattere, una presenza dignitosa ed orgogliosa che ci ha accompagnati in questo ultimo tour nonostante la malattia le stesse divorando i polmoni ma piena di gioia inconsapevole come sempre. Tesoro mio, stavamo organizzando il prossimo viaggio tra i monti proprio per te, per regalarti un po’ di relax dopo tanti chilometri di fatica, ma non ce l’hai fatta ad arrivarci. Ti vorrò per sempre un bene immenso… vola alto!

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