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Arte, storia ed architettura

Arte, storia ed architettura/ Viaggi

La Sagrada Familia

Un particolare della facciata

Terza tappa di questo viaggio improvvisato a Barcellona e finalmente ho raggiunto il mio grande sogno: trovarmi davanti alla Sagrada Familia, da sempre ammirata solo in fotografia. Si tratta della meraviglia architettonica, pur se incompiuta (e tutt’ora lo è, nonostante si stimi il termine nel giro di pochi anni), di Gaudì… imponente, meravigliosa, un tripudio di creatività, di linee sinuose, di allegorie della natura e di giochi di luce.

Non c’è un elemento decorativo uguale all’altro
Vi ricorda l’ingresso di una grotta?

Il nome completo della basilica è Tempio Expiatorio de la Sagrada Familia, basilica minore di culto cattolico i cui lavori iniziarono nel 1882 sotto il regno di Alfonso XII di Spagna, inizialmente in stile neogotico che però, a seguito del subentro di Gaudì quale progettista, nel 1883, virò immediatamente sul liberty, arricchendo quindi ulteriormente la storia travagliata dell’edificio, sulla quale non mi soffermo in quanto quella che vorrei trasmettere è esclusivamente un’idea sull’estetica. Il progetto di Gaudì evolve, come già detto, da uno stile neogotico ad uno naturalista, tant’è che alcune delle fonti di ispirazione furono la grotta di Collbatò e la montagna di Montserrat, ciò in quanto egli riteneva che lo stile neogotico fosse imperfetto proprio in quanto non rispettoso delle linee naturali, essendo strettamente rappresentato da forme rettilinee, da pilastri e da contrafforti, contrariamente alle forme geometriche rigate aderenti alla natura. Gaudì osservò che in natura erano presenti innumerevoli esempi di direttrici, quali i giunchi, le ossa dello scheletro, tutti esempi funzionali ed estetici che egli riportò in architettura adattando quindi le forme naturali a quelle strutturali; ne è l’esempio (bellissimo, a mio parere) la forma elicoidale assimilata al movimento e l’uso dell’iperbole assimilata alla luce.

E qui inizia una carrellata fantastica di decorazioni variopinte!
Che sia frutta?
O fiori?
Sembrano quasi elementi minerali…
Mosaici ovunque (Gaudì cercò sempre di decorare anche usufruendo di materiale di scarto)
Ma quanto bello è questo pinnacolo?
Nonostante le impalcature è uno spettacolo

Nel corso del tempo l’opera subì molte interruzioni, principalmente a causa della scarsità di risorse economiche, tuttavia queste contribuirono a concedere del tempo libero a Gaudì per la ricerca di nuove soluzioni strutturali, sfruttandone anche alcune già adottate in altre opere precedenti, quali gli archi catenari, le gallerie e i viadotti, mentre le torri della Sagrada hanno tratto ispirazione dal progetto, irrealizzato, delle Missioni Cattoliche Francescane di Tangeri.

Sua maestà la Luce
Gli interni: senza parole!

Ma veniamo all’interno, strutturato sul modello di un bosco, con colonne a forma di alberi, aperti in rami a sostegno di volte intrecciate, le cui colonne a loro volta sono inclinate in maniera tale da fornire il miglior sostegno possibile alla struttura sovrastante, evitando quindi anche l’uso di contrafforti esterni. Questa è solo una breve descrizione per meglio comprendere ciò che stiamo visitando, ovviamente è possibile rinvenire delle descrizioni molto più accurate della mia e sicuramente più tecniche, in quanto quello che desidero trasmettere è l’emozione di trovarsi dinanzi ad un’opera così maestosa e totalmente priva della severità che normalmente contraddistingue degli edifici di tale portata. Spero di riuscire nell’intento condividendo qualche scatto che possa portare a vedere ciò che vi ho visto io…

L’ingrandimento non rende, ma si tratta di immagini sacre estremamente stilizzate
Questa dedicata a San Luca
Qui c’è l’esplosione della bellezza e della creatività
La fantasia decorativa che si interseca con la luce

Mi accompagnerete ancora un po’ in giro per questa città meravigliosa, in occasione del prossimo post, ma nel mentre godetevi questo spettacolo unico al mondo!

Arte, storia ed architettura/ Egitto

Edfu Temple

Nel corso della mini crociera lungo le acque del Nilo siamo sbarcati ad Edfu, sita nel Governatorato di Aswan, dove sorge uno dei più bei templi dell’antico Egitto nonché il meglio conservato. Esso risale all’Antico Regno e venne restaurato, nel corso del Nuovo Regno nella XVIII dinastia, da Thutmosi III e successivamente inglobato nella nuova ricostruzione nel corso della dinastia tolemaica, le cui vestigia sono ancora visibili. Nel corso del 1860 venne liberato, ad opera dell’archeologo Auguste Mariette, dalle sabbie che lo seppellivano quasi totalmente, rivelando in tal modo l’ottima conservazione dell’edificio, compreso il naos e le tre colossali statue in granito nero rappresentanti altrettanti falchi dotati della doppia corona dell’Alto e Basso Egitto.
Il tempio rappresenta l’archetipo del tempio con struttura “a cannocchiale”, con una teoria di sale sempre più piccole e più buie, fino al sacrario del naos, completamente avvolto dall’oscurità, perfetta antitesi del modello del tempio solare.
Esternamente il pilone presenta, nei decori, delle rappresentazioni di Tolomeo XII nell’atto di sacrificare dei prigionieri al dio, altri sovrani tolemaici e la locale triade composta da Horo di Behedet, Hathor ed il figlio Ihi, oltre ad antichi dogmi religiosi tra i quali i quattordici ka del dio Ra ed altre divinità, tra le quali Ra-Harakhti, Hathor e Horo Sema-tawi, ossia “Horo che unisce le due Terre”.

Il mammisi del tempio, ossia il “luogo del parto”, sezione del tempio dedicato alla maternità
Il passaggio da una stanza all’altra, dalla luce esterna verso il cuore dell’edificio
I capitelli sono qualcosa di spettacolare in tutto il paese
Incisioni e capitelli ovunque

Tra i numerosi dettagli vi è la ricorrente immagine della barca solare, la “Festa annuale di Opet”, la posa della prima pietra del tempio e numerose altre che non sto ad elencarvi per non annoiarvi, del resto ciò che vi suggerisco, se ne avrete la possibilità, è di fermarvi a visitarlo perché ne vale davvero la pena. Tuttavia merita un cenno il sacrario, contenente il tabernacolo monolitico in granito, con la statua del dio falco Horo, eretto dal sovrano Nectanebo I della XXX dinastia, essendo il reperto più antico unitamente al supporto della barca sacra.
Il tempio fu terminato il 5 dicembre del 57 a.C. dopo ben due secoli di lavori e risulta essere il secondo, per dimensione, dopo quello di Karnak, grazie ai quasi settemila metri quadrati che lo contraddistinguono, compreso anche il mammisi realizzato da Tolomeo VIII, pur se solo successivamente decorato ad opera di Tolomeo IX Soter II. Vi si svolgevano cerimonie religiose quali la Festa del Nuovo Anno, il matrimonio annuale di Horus con Hathor di Dendera e la vittoria del dio su Seth oltre alla suggestiva incoronazione annuale di un falco vivo, appositamente allevato nel tempio dai sacerdoti, del quale ancora oggi sopravvive la statua zoomorfa che sfida lo scorrere dei secoli.

La barca (questa è una riproduzione) nel naos
La barca, onnipresente nelle incisioni
Il dio falco con la doppia corona del’Alto e Basso Egitto

Oggi ho dedicato il post ad un’unica visita perché il prossimo che vi proporrò sarà già molto complesso di suo e temo dovrò frazionarlo, quindi ne approfitto per lasciarvi qualche scatto di quella che è la vita locale, quella lontana dalle mete turistiche patinate in quanto, nonostante gli sfarzi di un’antica civiltà, ad oggi questo paese meraviglioso è abbastanza malmesso, la miseria si tocca con mano e vedere dei bimbi seminudi che giocano nella polvere sotto un ponte ti spezza il cuore… posso solo dirvi che l’umanità della gente ti accarezza il cuore e che ci tornerei mille volte, nella polvere, sotto un sole impietoso, ma davanti al paese vero, quello che in tutte le sue sfaccettature ti ruba l’anima.

I tuk-tuk, presenti ovunque e spesso guidati da ragazzini
Scorci di vita in un paese dove l’infanzia non esiste

Vi lascio con questi pochi scorci, cui ne seguiranno degli altri, di spaccati di vita perché, al di là delle vestigia storiche che mi sono state presentate, il fascino di un paese nasce sempre da come lo vivi.

Arte, storia ed architettura/ Baviera/ Germania/ Viaggi

Ultimo giorno sotto una pioggia torrenziale!

Stamani ripartiamo dall’area di sosta che ci ha accolti per la notte mentre il tempo sta cambiando: si sta sollevando un vento violentissimo mentre il cielo non promette nulla di buono, tant’è che raggiungiamo la prima tappa di oggi sotto il diluvio.

La chiesa che ci si para davanti è quella di Marienberg, la Wallfahrtkirche Maria Himmelfahrt, chiamata anche la “Perla della valle del Salzach”, considerata una delle più belle chiese rococò della Baviera… e a ragione! Ma veniamo a qualche traccia storica perché vi assicuro che ne vale davvero la pena: la struttura a due campanili domina tutta la piana circostante dalla sommità di una collina sovrastante il corso della Salzach e quando i monaci Cistercensi trasferirono il proprio monastero a Raitenhaslach, sul Marienberg sorgeva unicamente una cappella. Nel corso del secoli il santuario, luogo di pellegrinaggio, venne rinnovato ed ingrandito sino a quando, nel settembre del 1760, la chiesa venne totalmente ricostruita, su commissione dell’abate Emanuel II Mayr, artefice anche del monastero di Raitenhaslach, al costruttore bavarese Franz Alois Mayr e al pittore Martin Heigl, allievo del rinomato Johann Baptist Zimmermann. L’edificio venne consacrato nel 1764 ma, in seguito alla secolarizzazione, esso venne chiuso e parte degli arredi venne trasferita nel vicino monastero. La chiesa era già destinata alla distruzione, tuttavia fortunatamente i residenti si opposero strenuamente a tale decisione appellandosi al futuro re di Baviera Ludvig I, che fortunatamente acconsentì alla richiesta.

Per accedervi si salgono cinquanta gradini, suddivisi in cinque rampe da dieci, quale simbolo delle Ave Maria del Rosario, lungo le quali sono presenti svariate lapidi in memoria dei caduti dei due conflitti mondiali, ma è appena si varca la soglia che si compie la magia: non vi tedio con ulteriori descrizioni in merito alle opere ivi contenute, vi basti qualche traccia storica per meglio comprendere le vicissitudini del luogo… ammiratela e basta, è stupenda!

Anche la serratura è un capolavoro di maestria

Lasciata la chiesa, mentre la pioggia intensifica ulteriormente la sua portata, raggiungiamo il monastero di Raitenhaslach, sopra già citato e che resistette alla secolarizzazione fornendo anche luogo di sepoltura ai membri della dinastia Wittelsbach, nonostante le alterne vicende che portarono, dopo la consacrazione del 1186, alla distruzione della basilica romana a tre navate allora presente, sino ad arrivare al capolavoro barocco odierno, nuovamente ad opera del predetto Mayr e che ad oggi rappresenta un luogo di formazione e cultura ove si distinguono il Neuen Kloster, l’Alter Kloster e la Wasser Turm, ma anche questa volta il pezzo forte è lei, la chiesa, meraviglioso gioiello barocco. A voi le immagini, da rimanere a bocca aperta ancora una volta!

Anche le acquasantiere seguono il medesimo stile architettonico
Ma quanto è carino l’Insektenhotel posto nel giardino?

Le specie ospitate

Sempre sotto un cielo gelido invernale raggiungiamo Tittmoning, piccolo centro molto carino ma, essendo un sabato pomeriggio di tempo impietoso, letteralmente deserto; raggiungiamo il castello grazie ad una salita abbastanza abbordabile, ma che non presenta alcun tratto di interesse storico o architettonico.

Il ponte che conduce al castello
Un particolare dell’ingresso

Rientrando sulla strada verso il parcheggio che ci ospita notiamo una curiosa fontana sovrastata da una cicogna e scopriamo che si tratta della Storchenbrunnen, realizzata intorno al 1625, raffigurante una cicogna con una serpe chiusa nel becco e rappresentante la vittoria del bene sul male; si narra, inoltre, che se si desidera un figlio sia necessario passarvi davanti e poi voltarsi…

La Storchenbrunnen

E con questo post vi lascio sino alla settimana prossima… devo proprio lasciarvi una buonissima ricetta dolce, facile e di effetto!

Arte, storia ed architettura/ Baviera/ Germania/ Viaggi

Verso la Baviera: prima tappa a Laufen

Vecchie botteghe

Ci siamo lasciati pochi giorni fa in Veneto ma vi avevo promesso una nuova ripartenza: stamattina siamo di nuovo seduti in camper alla volta della Baviera. Il tempo che troviamo sui Tauri è pessimo, del resto sulla zona montuosa è la normalità, ma il cielo nero e l’acqua a catinelle ci accompagnano fino a Laufen.

In realtà questa zona ve l’avevo già introdotta a dicembre, quando arrivammo sotto una bufera di neve, tuttavia oggi siamo riusciti a fare una passeggiata un po’ più approfondita nonostante il maltempo, scoprendo un piccolo centro ricco di case bellissime, purtroppo molto trascurato e lasciato andare a molteplici chiusure commerciali e all’incuria.

Palazzi riccamente decorati, questa è la Haus Pauli
L’apice della volta del
ponte sulla Salzach

Il vecchio municipio

La cittadina fa parte del Berchtesgadener Land, in Baviera, ma non sono riuscita a trovare maggiori notizie in merito, né sulle guide turistiche né online, quindi mi limito a lasciarvi qualche scatto, soprattutto per le bellissime insegne che campeggiano lungo le viuzze e per il ponte, stupendo, quello che già mi colpì a dicembre e che collega la Baviera alla vicina Austria (non siamo lontani da Salisburgo).

La chiesa della cittadina, maestosa, stupenda…
La struttura ariosa degli interni, in netto contrasto con l’esterno, possente e massiccio
Le volte che percorrono il perimetro esterno dell’edificio
Il ponte sulla Salzach
Di là c’è l’Austria
Ma quanto bello è?

Rientriamo al camper, lasciato in un parcheggio dedicato, gratuito e senza servizi, per sostarvi la notte, bagnati fradici e bisognosi di un ambiente riscaldato, una birra ed una fetta di torta, dopo tanti chilometri e tanta pioggia. Per domani speriamo in un tempo un po’ migliore, nel mentre ci riposiamo e ci organizziamo per una nuova tappa!

Arte, storia ed architettura/ Viaggi

Asiago e il Santuario della Madonna del Buso

Ultima, e più bella, tappa della nostra piccola vacanza: lasciamo Schio per l’Altopiano di Asiago, da sempre incuriositi ma totalmente digiuni in merito, a parte i consigli generosamente forniti da mio figlio, ospite di un’amica per due estati di fila.

Già all’arrivo sull’altopiano mi si apre il cuore: una meraviglia! Paesaggio incontaminato, paesini graziosi, prati immensi che sembra quasi di stare in Austria, caseifici ovunque! Prima di fermarci in paese proseguiamo alla volta della chiesa della Madonna del Buso, attirati per la nota forra sita al di sotto dell’edificio: decidiamo di lasciare il camper a 500 m. dall’edificio a causa dei ricorrenti avvisi di limitazione dell’altezza a due metri (noi siamo a 3,15 e rimanere incastrati senza poter invertire il senso di marcia è l’ultima cosa che vogliamo), in realtà poi rivelatisi infondati, anzi… dinanzi alla chiesa vi è un bellissimo parcheggio che ci avrebbe consentito di manovrare il veicolo molto più agevolmente. Visitiamo la chiesetta e scendiamo lungo la scalinata scavata nel bosco fino al letto del fiume (in secca): uno spettacolo! Non aggiungo altro: ammirate voi stessi!

Il santuario
La forra
Ancora piena di ghiaccio

Ritorniamo verso Asiago, una sosta per il pranzo e poi via verso il centro, ma non prima di aver fatto una deviazione per raggiungere il Caseificio Pennar: il paradiso se amate i formaggi e in generale i prodotti caseari. Esso nasce nel 1927, in seguito alla ricostruzione post bellica sulle rovine di un antichissimo caseificio turnario; oggi rispetta in toto il più rigoroso disciplinare nel rispetto della tradizione e dell’ambiente in quanto l’intero processo, dalla mungitura all’affinatura del formaggio, si svolgono in montagna. Il risultato è la qualità eccelsa e prezzi onestissimi, il che ci ha permesso di fare un po’ di scorta per le prossime settimane.

Terminata la tappa spendacciona ci siamo recati in centro: carinissimo e curato al top! Dopo tanti centri trascurati finalmente ho goduto di una cittadina che è un amore, piccola ma pulitissima, con dei negozi molto belli (purtroppo anche molto vuoti), un centro sicuramente da vivere! Noi ci siamo fatti una bella passeggiata nonostante il freddo cane e il vento gelido, ma ne è valsa davvero la pena: l’unico appunto che mi sento di fare, pur non avanzando alcuna critica, sono gli eccessivi divieti di accesso ai cani ovunque. Io provengo da una regione in cui, grazie ad una civilissima legge regionale del 2012, i cani entrano ovunque, tuttavia un po’ più di elasticità non mi avrebbe destabilizzata, specie in quanto ho incrociato molte persone con pelosetto al seguito e la temperatura esterna era davvero glaciale anche per i nostri quattrozampe.

Il palazzo comunale

Vi lascio la consueta carrellata di immagini e stavolta mi sa davvero che ci rivediamo a casa!

La statua di Santa Giovanna Bonomo, sopravvissuta ai bombardamenti del primo conflitto mondiale
L’unico danno subito: le dita di una mano, praticamente è stata miracolata tenendo conto che tutta l’area circostante venne rasa al suolo
Il duomo, spettacolare!
Ora entriamo per ammirarne l’architettura
Ci accoglie un interno stupendo
Ditemi se non è favolosa…
Con il naso per aria…
Incantevole
Gli stupendi mosaici del battistero
Una stupenda “Pietà” ci accompagna all’uscita

Non so se aggiungerò ancora qualche tappa al viaggio, qualcosa che valga la pena raccontare e raccomandare, quel che è certo che qui vogliamo ritornarci, c’è molto da vedere e da fare, i sentieri sono tanti e bellissimi, inoltre accanto al bellissimo parcheggio che ci ha ospitati per cinque euro al giorno, pur senza alcun servizio, stanno edificando un’area camper che si prospetta completa ed allettante. Asiago aspettaci!

Arte, storia ed architettura/ Viaggi

L’abbandono di un’ipotesi

Siamo a Schio, bella cittadina del vicentino, scelta in quanto dotata di un’area camper completa dei servizi di cui necessitiamo, oltretutto sembra offrire anche qualcosa di carino da visitare. Vi arriviamo con il cielo ancora gonfio di pioggia, tuttavia nel primo pomeriggio le nubi iniziano a diradarsi lasciando trapelare un raggio di sole, quindi decidiamo che vale una visita.

Ingresso del vecchio stabilimento Lanerossi

La cittadina è intimamente legata alla famiglia Rossi e al famoso lanificio, soprattutto perché il suo fondatore, Francesco Rossi, come spesso accadeva in passato, aveva a cuore i propri dipendenti al punto di realizzare davanti allo stabilimento un parco dove potersi svagare (Giardino e Teatro Jacquard), nonché un asilo per i figli dei dipendenti, non molto distante dal luogo di lavoro.

Inoltre lo stabilimento constava di cinque piani, ognuno dedicato ad una diversa fase di lavorazione della lana, mentre il sottotetto era dedicato al rammendo, tutti dotati di riscaldamento, finestre idonee all’ingresso della luce e servizi igienici, cosa non scontata per l’epoca.

Giardino e Teatro Jacquard (tutto chiuso)

Inoltre lungo le principali strade del centro si snodano varie tappe, segnate da palette descrittive, che consentono al turista di apprendere la storia di ciò che si accinge a visitare. Insomma c’è tanto materiale da sfruttare per rendere Schio un centro di interesse storico, culturale e di archeologia industriale… ma… ed ecco il perché del titolo di questo post… molti edifici sono abbandonati al degrado più totale, alla sporcizia, alla muffa (non li ho nemmeno fotografati, la sporcizia era rivoltante), mentre altri nonché alcune chiese, reputati bellissimi, sono chiusi, sigillati, transennati, senza alcun avviso atto a fornire una spiegazione, una auspicabile data di apertura, nulla se non l’inesorabile senso di abbandono.

L’asilo per i figli dei dipendenti

È valsa comunque la visita grazie all’esposizione, almeno questa in perfetto stato, delle turbine utilizzate a livello industriale grazie alla presenza dell’acqua, facendo ben comprendere quale importanza essa abbia rivestito per lo sviluppo manifatturiero.

Il castello
Ovviamente chiuso e in totale stato di abbandono
La chiesa della Sacra Famiglia, dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese fuggita dalla schiavitù e riavuta la libertà a Venezia (tenuta molto bene e particolare in quanto distante dai comuni canoni estetici cattolici)
Vetrata dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, chiamata Suor Moretta, visibile nella chiesa di San Giacomo
Chiesa di San Francesco, chiusa e in stato di abbandono nonostante sia ritenuta meritevole di visita
Il duomo, maestoso, immenso… e chiuso, barricato completamente da una cancellata
Le vie del centro, molto carino nonostante i troppi negozi sfitti che mettono sempre un podi malinconia
Finiamo con le turbine, almeno queste tenute benissimo!
Corso d’acqua a lato delle turbine, dove la potenza dell’acqua veniva trasformata in energia elettrica
Uno dei macchinari esposti nelle tre sale visitabili

Oramai ci avviciniamo a casa, domani saremo sulla via del ritorno, ma conto di sfruttare ancora qualche ora per conoscere ancora qualche angolino di questa bella terra… ci rivediamo domani sera!


Arte, storia ed architettura/ Viaggi

Sacrario militare del Pasubio, non solo un monumento

Ultima tappa storica voluta da Luca: il Sacrario Militare del Pasubio, monumento funebre eretto in onore dei caduti della Prima Guerra Mondiale nonché, al piano inferiore, l’Ossario.

Ho pensato a lungo se farci un post o meno, anzi a dire il vero propendevo per il no, innanzitutto per l’aspetto macabro della visita, ma soprattutto per il rispetto che porto verso quei poveri ragazzi mandati a morire nella solita inutile guerra. Tuttavia appena vi sono entrata mi sono trovata al cospetto di un edificio artisticamente notevole, dalla struttura curiosa ma soprattutto ricchissimo di affreschi, un tripudio di tinte sulle varianti del rosso, quasi un inno alla vitalità che possa rendere meno lugubre il significato del luogo.

Il monumento si erge sulla sommità del colle Bellavista anche se, quasi a dispetto del nome, noi vi siamo arrivati immersi nelle nubi dopo una notte di grandine e pioggia torrenziale; è stato aperto nell’anno 1926 e ospita 5186 poveri ragazzi strappati alle proprie famiglie. Altro non voglio aggiungere, forse (secondo il mio carattere) il dispiacere nell’aver constatato che nemmeno nella morte siamo tutti uguali, visti i titoli militari e spesso onorifici che accompagnano alcuni nomi incisi alle pareti, mentre a mio avviso sono state tutte persone cui è stata strappata la vita e rubato il futuro.

Vi lascio la consueta carrellata di foto perché artisticamente vale veramente una visita, ovviamente mi fermo alle porte dell’ossario per il dovuto rispetto a chi vi riposa.

Le nubi che ci accolgono all’arrivo
La forma molto particolare dell’edificio colpisce subito lo sguardo
La cappella che accoglie il visitatore all’ingresso
Si sale ai piani superiori
La ripidissima scala di 32 gradini che porta all’ultimo livello dell’edificio
Fa impressione vero?
Siamo all’ultimo livello
Anche le vetrate sono magnificamente istoriate e decorano l’intera costruzione
L’unica parte dell’ossario che vi mostro: la volta, anche qui la decorazione risulta molto curata, seppure giustamente più sobria
E qui mi fermo, entro da sola in silenzio per rispetto
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Passo Pian delle Fugazze e Valli del Pasubio, una passeggiata nella storia

Continua il nostro giro lungo le tappe storiche, per la gioia di Luca (il patito per la storia), di Bubu e Margot (che possono girellare spesso libere e annusare ovunque) e mia (che mi consolo pensando che l’attività fisica non può che farmi bene): iniziamo con il Passo delle Fugazze, siamo sul confine tra Veneto e Trentino Alto Adige, ai piedi delle Piccole Dolomiti.

La zona è stupenda e rappresenta il vecchio confine tra Italia ed Austria, storicamente legato alla notte del 24 maggio 1915 quando i soldati italiani lo attraversarono rimuovendone le insegne imperiali: le immagini sottostanti testimoniano tutto ciò, ma vale la pena inerpicarsi lungo il sentiero per pochi minuti in maniera tale da ammirare anche le incisioni confinarie sulla roccia.

Particolare dell’insegna posta a memoria dell’antico confine
Particolare dell’incisione posta sulla parete di roccia: curioso che il Leone di San Marco sia stato raffigurato con il libro aperto, simbolo di pace, proprio in zona confinaria
L’intera incisione, completa di date

La zona si presta a delle bellissime passeggiate in quanto, accanto ai percorsi storici presenta anche alcuni prati pianeggianti completi di tavoli con panchine, perfetti per un pic-nic nel corso della bella stagione. Il paesaggio che ci ha accolti è ancora brullo e la sera fa veramente freddo, ma in estate dev’essere magnifico!

Abbiamo poi proseguito per la zona di Vallarsa, dove si estende una interessante area storica rappresentante il Campo Trincerato Austroungarico di Matassone, tutto sommato piacevole da visitare visto il panorama che si gode dall’altura sulla quale ci troviamo; come sempre lascio le immagini a parlare perché i miei suggerimenti vorrei fossero delle mere indicazioni per una passeggiata in famiglia e non un mattone storico da digerire. Insomma, una perfetta gita in montagna con un pizzico di cultura.

Le mie pupette pelose curiosano ovunque
Una meraviglia per un pic-nic con vista aperta sulle Dolomiti!
Il parcheggio che ci ha ospitati la notte, purtroppo con il camper service fuori uso, ma con una vista impagabile!
E tutto intorno al parcheggio un tripudio di bucaneve 😃
Il ricordo lasciato da qualche anima gentile…
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Recoaro Terme, la tristezza per una cittadina abbandonata

Ci siamo arrivati solo a seguito dell’interesse di mio marito per la storia, trovandosi a Recoaro un bunker molto ben mantenuto che lo incuriosiva da tempo. Lui è un grandissimo appassionato di storia, io l’ho sempre detestata ma delle volte mi adatto, sia mai che impari qualcosa, quindi anche questa volta l’ho seguito di buon grado.

Non ho alcuna intenzione di soffermarmi su quelle che sono reminescenze belliche, sia per il sopra citato odio per la storia, sia e soprattutto per la mia repulsione verso tutto ciò che ci riporta ad episodi di violenza, tuttavia se siete di passaggio vale la pena apprendere almeno un’infarinata di ciò che è accaduto in queste zone nel corso del secondo conflitto bellico e del motivo per il quale è stata scelta questa località per costruirvi un bunker.

A metà di settembre 1944 Recoaro Terme divenne sede del Gruppo d’Armate C tedesche in Italia guidate dal feldmaresciallo Albert Kesselring, sia per motivi logistici (facilità di fuga verso la Germania, abbondanza di strutture alberghiere, luogo non cruciale per interessi bellici e quindi teoricamente non interessante per eventuali attacchi), sia per la necessità di Kesselring di poter usufruire di cure termali.
Ad oggi il bunker è mantenuto molto bene grazie al volontariato e costituisce una visita gradevole, nonostante l’abbigliamento un po’ teatrale degli addetti, acconciati con abiti replica rispetto agli originali dell’epoca; l’accesso è gratuito e si basa esclusivamente su donazioni volontarie.

Tanto curata appare questa visita quanto in condizioni disastrose si trova la cittadina, luogo a mio avviso di grandi potenzialità ma abbandonato a se stesso, con tutti i centri termali chiusi, vecchi alberghi barricati e fatiscenti e case disabitate da innumerevoli anni, dalle insegne sbiadite e i ballatoi arrugginiti.

Mi è davvero dispiaciuto vederla così, ferma al lustro appannato di cinquant’anni fa, almeno a giudicare dallo stile edilizio, nonostante la potenziale ricchezza data dall’acqua termale e dallo stabilimento dell’acqua minerale che, con un po’ di investimento, potrebbe divenire davvero un piccolo impero, eppure ho notato una trascuratezza davvero desolante, non so nemmeno se imputabile ad una amministrazione comunale poco interessata in quanto si tratta di un degrado evidentemente di lunga data.

Nonostante tutto gli aperitivi del bar Divine sono spettacolari!

Vi lascio un paio di scatti del bunker e ci rimettiamo in viaggio per la prossima tappa.

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Gironzolando in Veneto: Follina

Il piazzale antistante la chiesa in un momento intriso di poesia tra il cessare della pioggia e il sole in controluce

Dopo la bellissima visita al mulino che vi ho descritto nel precedente post abbiamo fatto ancora qualche chilometro per raggiungere Follina, considerata uno dei più bei borghi d’Italia e sede di un bellissimo complesso abbaziale.

Santa Maria di Follina – Abbazia Cistercense (sec. XII – XIII)

Il primo insediamento monastico fu quello benedettino, risalente a prima dell’anno 1000, successivamente sostituito dall’Ordine cistercense nel 1146, ma solo a seguito della donazione attuata da Sofia di Camino nel 1170 il monastero follinese iniziò ad ampliarsi sino ad arrivare alle dimensioni attuali, tanto da essere considerato tra i più insigni e meglio conservati a livello nazionale.

L’attuale chiesa trecentesca, in stile romanico gotico, fu preceduta da una badia benedettina e da un’altra chiesta cistercense del XIII secolo, infatti non tradisce la regola cistercense che fa sì di essere orientata con la facciata a ponente e l’abside a levante.

Non mi dilungo in descrizioni architettoniche nonostante la mia passione per tutto ciò che è arte, tuttavia degni di nota sono l’ancona in legno dorato posta sull’altare maggiore, imitazione di quella sita a Venezia in S. Zaccaria, nonché lo splendido chiostro romanico, luogo di pace e serenità, decorato da una serie di colonne, diverse tra di loro, nonché ricche di movimento grazie alla diversità di capitelli che le sovrasta, fregiati da mascheroni, civette, galli, pale e croci greche.

Lo sviluppo del borgo è collegato anche alla presenza del lanificio, oggi dismesso e sede degli uffici comunali, tant’è che i monaci si dedicarono con zelo agli impianti dei pannilana e alla bonifica della zona di origine lacustre.

Ancora oggi il palazzo è circondato dalle acque provenienti dalla sorgente di S. Scolastica che confluiscono a formare il fiume Follina; la tradizione vuole che fossero stati proprio i monaci benedettini, nel XII secolo, ad intitolare la fonte a Santa Scolastica, sorella di San Benedetto, fondatore dell’ordine, sostituendola quindi al nome di una divinità pagana.

Il vecchio lanificio
Il vecchio lanificio
La sorgente

La visita dura meno mezza giornata anche se fatta con tutta la calma possibile, alla fine si tratta di un piccolo borgo, ma sono del parere che anche queste piccole vacanze possano farci conoscere alcuni angoli del nostro paese, piccoli gioielli che pochi si prendono la briga di esplorare ma che ci permettono di conoscere meglio la storia e l’arte del territorio che ci circonda.

Ora ci dirigiamo verso Recoaro, che da quanto ho capito non sembra offrire molto, tuttavia c’è una tappa storica che interessa a mio marito e che quindi non possiamo assolutamente perdere. A domani!

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