Ieri sera siamo approdati a Cahors, tranquilla cittadina del Midi-Pyrénées, che sorge in una stretta ansa del Lot, fiume che si snoda silenziosamente ospitando piccoli battelli e kayak e che permette la crescita di una folta vegetazione.
La città non offre poi granché e, a parte la cattedrale di St-Étienne e il Pont Valentré, non appare nemmeno molto curata, tanto più che risulta essere fuori dalle comuni rotte turistiche, tuttavia è innegabile che avrebbe molte potenzialità.
La cattedrale sorge al centro della città vecchia, venne eretta tra il 1090 e il 1125, nonostante le successive integrazioni strutturali, tant’è che presenta una parte absidale gotica, il portale romanico e il chiostro gotico-fiammeggiante.
Il ponte, gettato sul Lot, presenta una magnifica struttura fortificata trecentesca poggiata su sei arcate gotiche, difeso alle estremità e al centro da tre torri merlate. Essendo un rilevante punto di riferimento per i pellegrini sulla via di Santiago de Compostela, l’UNESCO lo ha inserito nella Lista del Patrimonio dell’Umanità.
Cahors è la città natale di Jacques Duèze, futuro papa Giovanni XXII e di Leon Gambetta, statista di metà dell’800 e personaggio di spicco della Terza Repubblica, inoltre nel periodo della cattività avignonese fu investita di alcuni benefici da parte del sopra citato papa. Nel 1331 vi fu istituita l’Università di Cahors, fusasi nel 1751 con quella di Tolosa.
Dopo la giornata di ieri che mi aveva lasciata sfiancata e con il ginocchio quasi fuori uso, questa notte l’ho trascorsa quasi completamente insonne a causa del dolore, nonostante abbia preso subito un antinfiammatorio. Stamattina, grazie anche alla strada fino a Rocamadour, sono riuscita a rimettermi un po’ in piedi, pur se zoppicante, e ho affrontato una piacevolissima visita, anche grazie alla presenza di due ascensori che accompagnano i turisti dal parcheggio, presso il castello, alla chiesa e da questa al centro cittadino, racchiuso tra le mura come un gioiello.
La città medievale è circondata da mura intervallate da una serie di porte fortificate, sovrastata da una scalinata monumentale, all’epoca percorsa in ginocchio dai pellegrini, che conduce al santuario comprensivo della basilica di St-Sauveur, della cripta di St-Amadour (classificato Patrimonio Mondiale dell’Umanità), delle cappelle di St-Anne, St-Blaise, St-Jean Baptiste, Notre-Dame e St-Michel. In sostanza si tratta di un unico complesso conservato perfettamente, assolutamente curato e del quale personalmente consiglio la visita. Oltretutto è interamente visitabile, contrariamente al castello, dal quale però si gode di un’ottima vista aerea sul santuario.
Per amore di precisione, nonostante non abbia carpito granché informazioni storiche in merito, tra i pellegrini illustri che hanno visitato questo santuario, ricordiamo Roland de Roncevaux, Saint Dominique, S.Antonio da Padova, Jacques Cartier, Henri Il Planageneto e Bianca di Castiglia.
La cittadina si compone di un unico viale, lastricato in pietra e ricco di negozi e locali, decisamente carina, da godersela passeggiando o sostando su una panchina, all’ombra di un albero gustando un panino o un granita.
Sono rientrata in camper abbastanza sofferente a causa dell’infiammazione, ma soddisfatta al 100%! Se ne avete la possibilità andateci e non ve ne pentirete!
Dopo una ventosissima notte a Minerve, e non esagero perché il camper risentiva degli spostamenti d’aria costringendoci a chiudere gli oblò per non rischiare danni, siamo partiti alla volta di Albi, percorrendo delle assurde strade collinari nonostante i nostri quasi sette metri di lunghezza. Ci abbiamo messo un bel po’, ma il peggio è stato arrivare e trovare l’unica area di sosta chiusa a causa di un concerto, senza possibilità alcuna di trovare un’alternativa; alla fine abbiamo parcheggiato quasi in centro, mangiato una paella (surgelata) al volo e ci siamo recati in centro per il tramite del ponte che attraversa il fiume Tarn. Alla vista della città siamo stati ripagati dei disagi perché ci ha accolti un panorama mozzafiato… guardate le foto e poi proseguo perché non servono parole!
Ciò che a prima vista contraddistingue Albi è proprio l’aspetto cromatico, rosato ed omogeneo, che colora l’intera città, grazie al “brique albegeoise”, mattone di argilla estratto dal letto del Tarn (insomma proprio a chilometro zero!). Ciò che però rileva, dal punto di vista storico, è che il movimento cataro, fiorito tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, ebbe ad Albi, allora città ricca e potente, uno dei principali centri di diffusione, tant’è che la guerra che si concluse con lo sterminio degli eretici prese proprio il nome di Crociata degli albigesi.
Oltre a quanto riportato sopra, Albi ed anche la città natale del pittore Henri Toulouse-Lautrec, che vi nacque nel 1864 e del quale ancora si conserva la casa.
L’edificio che per primo salta all’occhio per maestosità e meraviglia pura, è la Cathédrale de Ste-Cécile, che sorge sul punto più elevato dello sperone di roccia che domina il Tarn: spicca per la poderosa costruzione in mattoni rossi, che ne conferisce maestosità e semplicità, nonostante l’incredibile portale finemente intagliato e dalle linee gotiche, così come l’interno, la cui ricchezza ed eleganza si contrappone alla severità esterna. La sua maestosità (ben 97 m. di lunghezza, 30 di altezza e 19 di larghezza) simboleggiano l’esaltazione della vittoria cattolica sui catari, a monito della minacciosa forza della chiesa romana, tant’è che l’aspetto ricorda molto quello di una fortezza. Lo stesso campanile, alto 78 m., ha più l’aspetto di una torre che non di un’architettura ecclesiastica.
Successivamente facciamo anche una capatina alla chiesa di St-Salvi, al cui interno si apre un chiostro ricco di erbe aromatiche ed officinali… non so voi, ma io ho una passione per i chiostri, così ombreggiati, ricchi di pace e di silenzio e sempre fioriti.
Dopo la visita abbiamo raggiunto un’area di sosta in un piccolo paese poco distante da Albi, dopo averla girata tutta perché vi assicuro trattasi di una città veramente bellissima, ricca di strade curate e fiorite… oggi il ginocchio mi ha dato molto filo da torcere quindi va bene così, ne ho goduto la bellezza ma ora ho bisogno di riposare.
Stamattina la sveglia ci ha dato il via abbastanza presto, inizialmente con direzione Puisserguier, con quel che resta del suo castello, per poi proseguire verso Minerve, sulla quale intendo focalizzarmi con questo post.
Minerve è un piccolo villaggio che sorge su una roccia, come un’isola continentale circondata dai canyon dei due fiumi che qui convergono: il Cesse e il Brian. Al di là della splendida collocazione essa deve la propria fama alla tragica storia che la rende una meta degna di visita: proprio qui venne innalzato il primo rogo della crociata degli albigesi, ove più di centocinquanta catari si lanciarono spontaneamente nelle fiamme pur di non abiurare la propria fede.
Il borgo si stende lungo la roccia che lo ospita, integralmente strutturato in pietra, estremamente curato e ricco di fiori, una chicca per gli occhi! È una visita non particolarmente faticosa nonostante il continuo saliscendi che contraddistingue le strade da percorrere, che permette di ammirare le innumerevoli botteghe artigiane che vi sorgono e che deliziano il turista. Anche qui, come già notato ieri a Béziers, le insegne delle strade sono bilingui, riportando anche la denominazione spagnola, cultura molto sentita in questa parte della Francia.
La sera rimaniamo a dormire qui, sulla cima di una collina adibita ad area camper, unici ospiti, deliziandoci del vento costante che ci regala finalmente un po’ di benessere e che promette una notte di sonno tranquillo.
Arriviamo in questa città della Bassa Linguadoca, di origine romana e considerato il borgo più antico di Francia, la giornata è bellissima come anche i giorni precedenti e tutto sommato più respirabile, grazie a qualche nube sparsa qua e là e al Mistral che ci regala qualche momento di sollievo. Il centro è molto carino, curato ed adorno di fiori e stacca completamente con la periferia, sporca e trasandata: l’atmosfera che vi si respira è contraddittoria, tra i palazzi che riportano alla Parigi classica e le targhe delle strade recanti la vecchia denominazione in lingua spagnola.
Entriamo in centro per il tramite della Allées Paul-Riquet, bellissimo viale di platani intitolato all’ideatore del Canal du Midi, sulla cui riva si adagia la città, per poi esplorare le bellissime stradine che ci accompagnano fino alla Cathédrale de St-Nazaire, meraviglioso edificio gotico del XIII-XIV secolo, recante capitelli romanici dell’XI secolo, affreschi del XIV secolo ed un bellissimo chiostro trecentesco.
Se seguite il mio percorso incontrerete la piazza sulla quale è stata posta una targa in memoria del massacro di Béziers. Nel luglio del 1209 i crociati assalirono il piccolo villaggio di Servian e mossero quindi verso Bérziers, raggiungendola il 21 luglio: sotto il comando del legato pontificio, Arnaud Amaury, iniziarono ad assediare la città, invitando i cattolici all’interno ad uscire e chiedendo ai Catari la resa. Nessuno dei due gruppi acconsentì alle richieste e, il giorno seguente, la città cadde quando un fallito tentativo di sortita da parte degli assediati permise alle truppe crociate di penetrare nella città, portando ad un massacro pressoché totale della popolazione, mentre la città venne rasa al suolo. È divenuta leggendaria la risposta che, in tale occasione, Amaud Amaury avrebbe rivolto ad un soldato che chiedeva come poter distinguere nell’azione gli eretici dagli altri, in quanto egli rispose: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi” (Caedite eos, novit enim Dominus qui sunt eius), anche se in realtà la frase, citazione della seconda lettera a Timoteo di S.Paolo, reciterebbe “Dio conosce quelli che sono suoi”.
Abbiamo passeggiato lungo le vie del centro, con molta calma perché sto faticando a causa di un ginocchio che da tempo mi sta dando dei problemi, ma volevamo anche vivere la città, tant’è che a pranzo ci siamo fermati in un delizioso bistrot il cui pranzo è stato ampiamente all’altezza delle aspettative.
Camminando a naso insù e ammirando i palazzi abbiamo osservato come molti siano meravigliosamente dipinti, con una maestria tale da rendere le scene reali.
Oggi è il “mio” giorno, quello della visita alle Saline du Midi, fortemente voluta dalla sottoscritta e che ha scombinato tutti i piani al marito: avevamo tentato di farla ieri ma era tutto esaurito, pochissime visite e tante richieste. Ci avevano offerto un ultimo biglietto che lui voleva accettassi, ma le vacanze si fanno in due e quindi ho preferito aspettare oggi.
Sono riuscita ad acquistare due ingressi appena per il primo pomeriggio, potendo quindi riservarmi una mattina calma che, conoscendo le vacanze frenetiche di mio marito, non è una cosa scontata. Alle 14.30 siamo saliti sul trenino che ci ha accompagnati lungo le saline e sulle sponde del famoso mare rosa della Camargue, uno spettacolo imperdibile di sfumature che vanno dal porpora al viola, grazie alla presenza della Dunaliella Salina, un’alga rossastra che trova il proprio habitat naturale nelle alte concentrazioni saline, che regala le proprie sfumature anche all’Artemia salina, cibo prediletto dei fenicotteri, che a loro volta, cibandosene, colorano il piumaggio della stessa tinta. Ah, a proposito… ne abbiamo scorto qualcuno in lontananza pur se molto pallido😃
Da marzo ad agosto le paratie tra i vari bacini d’acqua vengono sollevate per consentire l’aumento del naturale grado di salinità, l’acqua evapora gradualmente grazie all’azione del sole e del Mistral, che accompagna il luogo quasi costantemente, fino a diminuire del 90% e lasciando un’elevata concentrazione di sale.
Il prodotto più pregiato che si ottiene è il fleur de sel, meraviglioso salgemma ricco di magnesio che viene raccolto, rigorosamente a mano, prima del sorgere del sole.
Il sale meno pregiato, poiché raccolto negli anni precedenti e quindi non più destinato al mercato alimentare, entra invece nella produzione di semplice antigelo, quindi nulla viene sprecato.
Nel corso della visita è prevista una fermata intermedia che consente la salita alla Camelle, che ha appunto la forma di un dorso di cammello e altro non è che uno dei cumuli ove i camion versano il sale raccolto. Dalla vetta della duna è possibile godere di un panorama incredibilmente rosa che si stende fino alle mura della città di Aigues-Mortes.
Dopo la visita alle saline ci siamo diretti a Montpellier, città caotica in cui non siamo riusciti nemmeno a rintracciare l’unico parcheggio che sembrava potesse ospitarci, quindi dopo le stress del caos di Montpellier abbiamo raggiunto Béziers per trascorrere la notte… a domani per la prossima visita!
Questa mattina ci siamo concessi un risveglio più lento dopo aver riposato bene grazie alle temperature notturne abbastanza clementi, per poi avviarci verso Aigues-Mortes, splendido centro della Camargue. Dopo aver parcheggiato fuori dalle mura, tra distese di canneti, siamo entrati nel centro cittadino, uno spettacolare borgo fitto di basse case bianche con le imposte azzurre ed adornate da un tripudio di fiori, spesso sovrastate da bellissime terrazze soleggiate che mi hanno ricordato i paesaggi salentini. La cittadina è una vera chicca, con un centro pieno di vita, di ristorantini e di negozi carinissimi, che nelle tradizioni guarda con un occhio alla vicina terra iberica, grazie anche al palpabile orgoglio per i tori della Camargue.
Oggi ci concediamo un pranzo meno frugale in un ristorantino spagnolo, dove ci servono un ottimo stufato di toro con riso della Camargue, piatto che racchiude tutta la tradizione del luogo che ci ospita.
Dopo un breve giro del centro decidiamo di percorrere tutto il cammino di ronda che delimita il perimetro della città, sotto un sole cocente che rende l’aria pressoché irrespirabile, ma che ci permette di ammirare le saline rosa della Camargue e i fitti tetti ricchi di terrazze stupende, abbellite da oleandri e banani, e facendoci sentire un po’ Mary Poppins!
Le fortificazioni del borgo sono interamente medievali e circondano un’area voluta da Luigi IX, futuro San Luigi, edificata su un lido paludoso, facendo sì che egli fosse il primo re di Francia a disporre di un porto sul Mediterraneo e proprio dal porto di Augues-Mortes egli partì per le crociate nel 1248 e nel 1270. Nel 1278 il porto divenne l’unica porta nel sud del regno, vi transitavano spezie e lane, finché venne soppiantata da Marsiglia con la riannessione della Provenza alla Francia.
La zona venne arricchita, nel 1875, dai primi vigneti che contribuirono alla sua popolarità oltre alla sua notorietà quale luogo balneare.
Annessa alle mura vale una visita anche la torre di Costanza, unico vestigio del castello costruito durante il regno di Luigi IX, con spesse mura di 6 metri e a pianta circolare.
Vi sono delle chiese da visitare, palazzi storici, ma a mio parere è una città da vivere, ricca di colori e di allegria.
Terminata la visita abbiamo prenotato, con grosse difficoltà vista l’enorme richiesta a fronte della scarsa disponibilità, la visita alle saline, un fuori programma che ci ha un po’ confusi, ma non potevamo mancarle!
Siamo al terzo giorno, io personalmente mi sveglio con fatica in quanto con il relax mi sta uscendo tutta la stanchezza accumulata nei mesi precedenti, anche questa notte è stata molto fresca e stamani non lo è da meno, ma sono già in tenuta leggerissima perché a breve si schiatterà dal caldo.
Sistemiamo tutto in maniera tale che durante la marcia non inizi a cadere a terra alcun oggetto e… si parte alla volta di Arles!
Innanzitutto una doverosa precisazione: ha fatto caldo, tanto caldo, una cosa atroce, da saltellare da un punto d’ombra all’altro per pietà delle cagnoline che eroicamente non hanno mai mollato.
La città, che ha conosciuto anche Vincent van Gogh nei suoi ultimi anni di vita, ospita ben sette monumenti iscritti nella Lista del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO: il chiostro, il portale della cattedrale di St. Trophime, i criptoportici, il teatro antico, l’anfiteatro, le terme di Costantino e gli Alyscamps.
La nostra visita inizia proprio dagli Alyscamps, sito ricco di antichi sepolcri adagiati lungo un viale ombreggiato da alberi secolari che termina con la chiesa incompiuta di St. Honorat, recante una facciata seicentesca che chiude lo spezzone di navata del XII secolo e un campanile a lanterna a pianta ottagonale. Personalmente non ho una grande passione per questo genere di siti, ma la chiesa risulta monumentale ed inquietante, anche grazie alla presenza, al suo interno, di alcuni sarcofagi carolingi.
Successivamente ci siamo diretti all’antifeatro romano, molto ben conservato e conosciuto con il termine di Les Arènes, edificato alla fine del I secolo d.C., utilizzato per le sfide tra toreri e tori della Camargue; presenta due ordini di arcate doriche ed utili, nel corso del Medioevo, quale fortezza militare, come testimoniato dalla presenza di tre torri duecentesche che poggiano sul coronamento superiore, mentre una quarta è andata distrutta.
La visita immediatamente successiva ha visto protagonista il Théâtre Antique, costruito nel periodo augusteo su tre ordini di arcate, più piccolo dell’Arena ma non meno affascinante ed ancora utilizzato per la rappresentazione di spettacoli.
Oramai eravamo già piuttosto cotti, quindi abbiamo fatto una breve pausa per un meraviglioso panino veg con le patatine prima di recarci alle terme di Costantino, dove la plebe, grazie ai prezzi popolari, poteva godere di lunghi bagni rigeneranti, diversamente riservati solo ai patrizi, e contribuendo così a mantenere l’igiene e la salute della popolazione.
Faticosamente, sempre sotto un sole cocente (io oramai vedevo tutte le santità del paradiso), siamo arrivati ai criptoportici del Foro, con ingresso dalla seicentesca ex cappella dei gesuiti: le arcate della galleria poggiano su poderosi pilastri che formano una base a ferro di cavallo, con funzione di base a garanzia della stabilità del Foro e, nel contempo, utilizzato anche come deposito del grano. Ah… a proposito… almeno lì mi sono rinfrescata!
Nella stessa piazza sorgono anche la Cathédral de St. Trophime, dal magnifico portale romanico ed un interno incantevole molto slanciato ed imponente.
La visita termina con una volata al chiostro, bellissimo come tutti i chiostri a mio gusto, nonostante questo sia privo di giardino o di altra vegetazione: vi lascio uno scatto che ne testimonia l’eleganza grazie alle volte a botte e alle arcate a tutto sesto a est e a nord, mentre a ovest e a sud si possono ammirare delle crociere ogivali.
Appena rientrati al campeggio mi sono goduta una rigenerante nuotata in piscina… quindi teniamo duro che domani saremo pronti per una nuova avventura!
Siamo sempre lungo il Rodano, fiume immenso dalle acque cristalline che dividono l’Occitania dalla Provenza, una meraviglia per lo sguardo e che ci ha regalato una notte molto fresca.
Oggi abbiamo deciso di attraversare il ponte che divide le due regioni: una passeggiata sotto il sole cocente che da Beaucaire ci ha accompagnati a Tarascona, piccolo centro che esula dalla nostra ricerca storica alla volta dei Catari ma che meritava una breve visita, non fosse che per il meraviglioso castello dalla cui altezza lo sguardo si stende sul Luberon, terra ricca di vigneti e di poesia. Il maniero, storica residenza di Renato d’Angiò, venne portato a termine intorno al 1450 e fino al 1926 venne utilizzato anche come carcere, grazie alle possenti mura merlate e al fossato che lo circonda su tre lati. Vale la pena di essere visitato anche internamente vista la perfetta simbiosi tra imponenza ed eleganza che lo contraddistingue: a mio avviso già solo la vista del giardino interno con i suoi ulivi e il cortile d’onore, meraviglioso esempio di gotico-fiammeggiante, riempiono gli occhi di bellezza.
La tappa successiva l’abbiamo fatta alla chiesa di Santa Marta, che si erge in prossimità del Castello, con la struttura di portata romanica e l’impronta gotica sul campanile, oltre ad un interno di tutto rispetto che racchiude anche la cripta dove riposa il corpo della Santa cui è intitolata la chiesa.
Il pranzo è stato breve e modesto, consumato sulle panchine di un parco malmesso e trascurato, come del resto gran parte della città, prima di rientrare alla nostra casa mobile e poter godere di un po’ di fresco grazie alla canna dell’acqua messaci a disposizione dalla gestione dell’area di sosta.
L’opinione che abbiamo avuto di Beaucaire e di Tarascona è stata di due cittadine con molto potenziale, purtroppo abbandonate a loro stesse ed eccessivamente invase da una immigrazione incontrollata che ha contribuito all’evidente degrado, ma non per questo ho avvertito alcun senso di insicurezza.
Domani ci rimettiamo in marcia per la prossima città che ci ospiterà… di nuovo on the road!
Siamo in quattro, con un equipaggio composto da Luca, pilota, Tatiana (me) addetta alla logistica e Margot e Bubu, addette alla proliferazione di pelazzi ovunque, tutti a bordo del nostro camper Chewbecca. Partiamo da Trieste alle 13.50 del 30 giugno, letteralmente appena terminato di lavorare, carichi e motivati dopo quasi tre anni di disgrazia totale tra lockdown e assurdi divieti di ogni foggia. Il viaggio inizia pieno di allegria e risate pur con la consapevolezza di avere dinanzi a sè tanti, troppi chilometri per potercela fare in giornata, ma noi non desistiamo e poco dopo le 22 arriviamo a Taggia, nei pressi di Sanremo, piuttosto devastati da cantieri e rallentamenti, motivo per cui cerchiamo un parcheggio, prepariamo una cena al volo e ci apprestiamo ad un sonno ristoratore, anche se solo per il pilota in quanto la sottoscritta ha troppo caldo per riuscire ad addormentarsi in tempi decenti.
La mattina seguente ci svegliamo alle sei e mezza, pronti a ripartire ma non prima di una veloce spesa al Lidl, senza immaginare minimamente il casino che ci avrebbe aspettati lungo la strada: tra errori ai caselli autostradali, ingorghi e imbecilli al volante ce la facciamo ad attraversare il Rodano e ad entrare in Occitania, l’antica Linguadoca della guerra dei Catari, lungo le cui tracce si snoderà il nostro viaggio, a partire da Beaucaire, prima tappa cui approdiamo all’ora di pranzo. La nostra prima notte francese la trascorreremo in un’area di sosta che è una chicca, tranquilla ed immersa nel verde, con grande sollievo delle povere quadrupedi, stremate da un viaggio infinito; veniamo accolti da una simpatica vecchina che, per 12 euro (grazie al cielo abbiamo i pannelli solari che ci permettono di evitare l’esoso allaccio elettrico), ci assegna una meravigliosa piazzola sotto ad un ciliegio, comunque completa di camper service.
Dopo un velocissimo pranzo frugale abbiamo visitato la cittadina, partendo da una leggera salita che ci ha accompagnati al castello, non visitabile all’interno, ma il cui cammino di ronda è pressoché completamente percorribile gratuitamente, dal quale si apre la vista sull’intera zona sottostante e sul corso del Rodano. Del castello ho rinvenuto poche notizie, a parte il fatto che è sorto su un castro romano nel corso dell’XI secolo e che fu protagonista della crociata contro i Catari, nel 1216, in quanto assediato dai medesimi, guidati da Raimondo VI di Tolosa, il quale rifiutò la richiesta avanzata dal Principe di Montfort di ritirarsi dal maniero con le armi.
Dopo il castello abbiamo fatto una visita velocissima alla chiesa neoclassica di Notre Dame des Pommiers, molto bella e arricchita da un manufatto in onore di Giovanna d’Arco.
La visita, faticosa non a causa della camminata in sè, ma del caldo atroce che ci ha accompagnati tutto il pomeriggio, è terminata con una passeggiata lungo le rive del Rodano… si sa che solo a vedere una distesa d’acqua si rinasce!