C’è stata un’epoca in cui amavo le favole, ne leggevo a tonnellate spaziando da quelle delicate, intense, magiche del profondo nord a quelle africane in cui le donne sono protagoniste, icone di una società matriarcale rappresentata da racconti ermetici, lontani, molto lontani dal nostro modo di concepire una favola.
Pochi giorni fa ho scoperto che i termini “favola” e “fiaba” non sono sinonimi, me l’ha spiegato mio figlio nel mostrarmi l’ultima lezione di antologia: dai bambini si apprende anche che la favola è caratterizzata dalla presenza di animali umanizzati, in grado di porre in evidenza la rappresentazione allegorica delle virtù e delle miserie umane, che si conclude comunque con una morale, implicita od esplicita che sia; la fiaba, invece, è ricca di principi azzurri, principesse, orchi e folletti, castelli e boschi incantati… il cui scopo è quello di far divertire gli inguaribili sognatori come me!
Poi, con il passare del tempo e a causa delle delusioni subite, delle cattiverie inflittemi dall’insensibilità altrui, ho smesso di immergermi in mondi incantati, sono diventata più sicura di me, più decisa, ma ho anche perso la capacità di giocare, cosa che mio figlio mi rimprovera spesso… però ho cercato sempre più di convogliare tutto ciò almeno nel ricercare notizie che possano soddisfare le piccole curiosità di ogni giorno (anche perchè, diciamocelo pure, sono sempre stata una capra in storia e in qualsiasi possibile disciplina ad essa connessa anche lontanamente….).
Domenica la mia amica del cuore mi ha “rapita” dalla famiglia (wow…mai successo, mi sembrava di marinare la scuola, cosa che non ho mai fatto… ma mi sono sentita eccitatissima!!!) per poterci fare finalmente una chiacchierata tranquilla davanti ad un pasto informale consumato in quella che dalle mie parti è chiamata “Osmiza”… e nel cercare di spiegare ad un’amica bresciana cos’è un’osmiza mi sono posta delle domande in merito all’origine di questa nostra “usanza mangereccia”.
Dopo un po’ di ricerche ho scoperto che tale nome deriva dallo sloveno “osmica” (la “c” si pronuncia sempre “z”), da qui il nome “osmiza” oppure “osmizza” che sta ad indicare un luogo in cui si vendono e si consumano vini e prodotti tipici, tra cui uova, salumi e formaggi: ciò viene organizzato nelle abitazioni degli abitanti dell’altopiano del Carso, dove vengono sistemati tavoli e panche per potersi sedere tranquillamente a chiacchierare sgranocchiando queste squisitezze.
Le osmize sono caratteristiche di tutto il Carso giuliano (ma nella zona di Gorizia sono chiamate “private”), Slovenia compresa e recentemente si diffondono sempre maggiormente anche presso i nostri cugini austriaci: a Vienna sono conosciute con il nome Heuriger, mentre in Carinzia si chiamano Buschenschank.
Sembra che la loro origine sia molto antica, addirittura databile all’epoca di Carlo Magno, epoca in cui l’Istria e Tergeste vennero abbandonate dai bizantini per entrare a far parte del Regno Franco; in tale epoca venne emessa un’ordinanza, da parte di Carlo Magno, che consentiva a tutti i viticoltori dell’Impero il diritto di vendere direttamente i propri prodotti, segnalando tale attività mediante l’affissione di un “frasco” lungo la strada.
Ancora in periodo medievale i contadini sostenevano il proprio diritto di vendere il vino prodotto in casa in esenzione da dazi, pertanto tale pratica venne mantenuta in essere grazie ad un decreto, emesso nel 1784 da Giuseppe II d’Asburgo , che permetteva la vendita di vino sfuso di produzione propria per un periodo di otto giorni: infatti il termine “osmiza” proviene da “osem”, che significa “otto” in lingua slovena. L’osmiza continuò ad essere segnalata dal frasco lungo la strada e sull’abitazione, pena la confisca della licenza.
Oggi il periodo di apertura può essere superiore agli otto giorni e viene calcolato sulla base della quantità di vino prodotto, quindi c’è molta più libertà di scelta in merito all’organizzazione dell’osmiza, però l’usanza del frasco non è mai decaduta; a tal proposito allego una foto, che ho trovato sul web, ma che è assolutamente identica a quella che abbiamo incontrato noi domenica lungo la strada… anche l’osmiza è la stessa, ma eravamo tanto prese a chiacchierare che mi sono completamente scordata di scattare delle foto!
Foto tratta dal web
Ah, una piccola curiosità ancora… a Trieste la frase “andar per frasche” significa appunto andare a bere il vino!
Dopo esservi sciroppati tutto il post beccatevi i miei complimenti per essere arrivati sino in fondo e, essendo ormai in tema vinicolo, annusate… sentite il profumino? Questo è quanto ho cucinato per stasera, un piatto semplice, di origine ebraica aschkenazita, considerato la “coccola” per eccellenza nella tradizione culinaria di questo popolo… anzi, io personalmente amo moltissimo la cucina ebraica, a mio avviso è qualcosa di originalissimo nelle preparazioni, pur utilizzando ingredienti di uso comune! La ricetta però l’ho appresa da Stefania di Arabafelice in cucina e l’ho messa in pratica più volte, nonostante la diffidenza iniziale; infatti l’uso delle verdure lessate insieme al pollo mi dava una nota stonata, temevo di ritrovarmi nel piatto una brodaglia vegetale molliccia, dura da mandar giù per una che detesta il minestrone di verdura! Invece la presenza del vino bianco in cottura cambia completamente tutto…. provate!
Ho acquistato un pollo intero, eviscerato, che ho leggermente appiattito con le mani e rosolato brevemente in una pentola con l’olio evo, da ambo i lati, poi ho aggiunto 250 ml. di vino bianco, le carote tagliate in quattro parti nel senso della lunghezza, i porri tagliati grossolanamente, del sedano e del prezzemolo, poi ho aggiunto sale (non lesinare sul sale…), pepe, un paio di foglie di alloro e ho ricoperto le verdure d’acqua, lasciando pochi cm. di pollo scoperto. Non appena raggiunto il bollore ho abbassato la fiamma, coperto il tutto e lasciato andare di cottura per un’ora e quaranta… e basta!!! Tutto qua!!!
Il profumo che si sprigiona è delizioso e basta spezzettare il pollo e poi impiattarlo insieme alle verdure (paradisiache…io ne ho aggiunte più di quelle previste nella ricetta), con un mestolo del brodo di cottura, caldissimo e un po’ di riso basmati, cotto a parte: con poco si ha una cena da re! Gustosa, sanissima, economica e facilissima da preparare! Ah…servito con della senape è irresistibile!
Riepilogo degli ingredienti:
1 pollo intero
2 porri (io ne ho usati 3)
2 carote (ne ho usate 3)
sedano e prezzemolo a piacere (una costa per ciascun ortaggio secondo me è perfetto)
un paio di foglie di alloro
250 ml. di vino bianco
acqua q.b.
sale
pepe (rosa, ma io ho usato quello nero perchè avevo solo quello)
olio evo
Dopo avercela fatta ad arrivare al termine di questo post un po’ di musica ve la meritate….
[youtube=http://youtu.be/PEAcx3RNkwo]