Amante della cultura nipponica da sempre, vissuta e respirata in dieci lunghi e faticosi anni di karate shotokai praticato con un sensei di quelli “veri”, non un istruttore improvvisato, ma un maestro di fama internazionale, un purista grazie al quale ho apprezzato il valore della fatica, la lezione di un pugno in pieno stomaco per non averci messo la necessaria concentrazione, la forza della mente che prevale sul corpo e sulle sue vulnerabilità, l’andare al di là dei propri limiti, la consapevolezza che la disciplina è alla base di tutto se convogliata in maniera corretta verso l’obiettivo.
Rammento la cerimonia del the, rammento l’annuale tributo al grande maestro Murakami in sua memoria, rammento il praticare degli esercizi di riscaldamento ai limiti dello sfinimento in pieno agosto come al gelo di dicembre, senza climatizzatore nè riscaldamento, rammento il pavimento gelato e noi a piedi nudi saltando a pieno ritmo per tentare di riacquistare la sensibilità delle gambe… dieci anni meravigliosi in cui ho imparato che il corpo segue la mente, che siamo padroni di noi stessi, che con la volontà si arriva ovunque, dieci anni stupendi che mi mancano da quando, appena sostenuto l’esame per il primo dan, ho lasciato il dojo e i miei amici a causa di alcune vicissitudini contrarie al mio essere me stessa, che avrebbero svilito la mia dignità, che mi hanno costretta a cambiare strada.
Ho amato la magia dei kata, danze volteggianti nell’armonia del corpo e del ritmo, e ancora rammento un kata avanzato, complesso e bellissimo eseguito in maniera magistrale su una spiaggia, al tramonto, da un amico… sembrava salutasse il sole, sembrava un tributo silenzioso e magico al sole morente nel mare, prima di iniziare una danza vorticosa di ichi, ni, san, shi, go, roku…. prima di volare sulla sabbia nella perfezione assoluta di un corpo totalmente dominato da una mente allenata…
Ho amato i nomi di ogni singolo attacco o difesa, imparati a fatica in una lingua tanto distante dalla nostra, ho amato parole e suoni e frasi poi pronunciate spesso per aiutare i dialoghi tra me e la deliziosa e sfortunata moglie di mio cugino, giapponesina doc, con la quale ho intavolto discorsi bellissimi in inglese misto a tedesco e a giapponese, lei che era di diretta discendenza samurai, lei che come un piccolo samurai ha lottato tanto eppure ha perso, sconfitta da un male più feroce di lei.
Oggi il karate mi manca da morire, ma il poco tempo che il lavoro mi concede è tutto dedicato a mio figlio, al mio strepitoso undicenne che amo alla follia e del quale mi innamoro sempre di più, ogni giorno che passa… chissà se mai tornerò a praticarlo perchè il karate non è uno sport, non è una disciplina, è un modo d’essere e di concepire se stessi… ma nel mentre aspetto di riavere un contatto con una cultura che amo visceralmente mi concentro, quando posso, su una cucina in cui ogni gesto è un’opera d’arte, in cui ogni piccolo particolare porta con sè un significato profondo e ancestrale, gesti che a me non riescono perfetti, tutt’altro… ma ci provo e poi sono felice!
Il sushi è il tradizionale riso acido, elemento base della cucina orientale, conservato sin dell’antichità grazie all’uso dell’aceto di riso, misto a sale e zucchero, che ancor oggi dona alle “pallotte” di riso quel sapore così caratteristico, ed è grazie al riso così trattato che veniva conservato anche buona parte del pesce, seppur utilizzato solo nelle grandi occasioni a causa del prezzo elevato e non accessibile al popolo, quindi quando si parla di sushi ci si riferisce a qualsiasi preparazione a base di riso e non di “pesce crudo” come spesso sdegnosamente sento dire in giro da chi non lo apprezza ed, evidentemente, nemmeno lo conosce.
Il sushi di pesce è sano, magro, gustoso, purchè si abbia l’accortezza di congelare il pesce freschissimo appena acquistato, per evitare pericolose infestazioni da Anisakis, ma per il resto fa parte di un’alimentazione assolutamente sana; sto parlando genericamente di “sushi”, ma intendo anche preparazioni quale il sashimi, l’uramaki, il futomaki o altre varianti relativamente alle quali non sto a dilungarmi tanto è tutto buonissimo e io non sono uno Shokunin, ma solo un pasticciona che ci prova!
Il riso è stato risciacquato molto bene per togliere l’amido e poi cotto (io ho usato la risottiera da microonde che cuoce “quasi” al vapore); va utilizzato un riso a grani piccoli e dopo la cottura deve rimanere privo di amido e ben sgranato, dopodichè per ciascuna tazza di riso cotto verso un cucchiaio di aceto di riso pronto all’uso, mescolo e lo stendo sull’alga nori, poi aggiungo un velo di maionese fatta da me (molto light), un bastoncino di avocado e uno di salmone… e qui inizia il dramma! Avete la stuoietta di bambù? Auguri…. io ho utilizzato inizialmente un tappetino di silicone per arrotolare il tutto, imprecando in aramaico, poi ho acquistato il sushi-roll che mi ha aiutata parecchio!
Per fare le pallotte di riso, come le chiama mio figlio, ho imparato a mettere sul fondo di una tazzina da caffè un pezzetto di pesce (salmone, tonno, sgombro… quello che volete) e coprire poi con del riso sino a riempire la tazzina, poi verso la tazzina su un tagliere e il giochino è fatto (confesso di averci rimesso anche una tazzina)!
Ho accompagnato la cena con della salsa di soia dolce in cui ho sciolto della salsa wasabi (salsa al rafano) e con dello zenzero in agrodolce, utilissimo per “ripulire” la bocca tra un boccone e l’altro; ovviamente non poteva mancare dell’ottimo sakè, distillato di riso da bere caldo e che ha un potere dissetante incredibile ed oltre ogni rosea aspettativa, ma se siete astemi un the al gelsomino è perfetto.
I nipponici, di una saggezza incredibile, fanno precedere sempre il pasto da una minestra calda e brodosa, perfetta per rilassare le pareti dello stomaco e favorire la digestione, ma non sempre è semplice reperirne gli ingredienti e infatti io non l’ho fatta, però quella a base di alga e funghi è strepitosa!