Dopo la lettura de “Il cardellino” ho voluto approfondire lo stile meraviglioso di Donna Tartt, questa volta affrontando la sua prima opera, pubblicata una trentina d’anni fa ma sempre attuale. Non si tratta di una lettura facile nè leggera, tuttavia formativa, che tocca vari argomenti tra cui un’ottima conoscenza della cultura classica, una società ricca viziata da sesso, droga e alcool, da segreti e tradimenti, che convivono con un elevato livello culturale. La narrazione si dipana dalla voce di Richard Papen, squattrinato ma ambizioso protagonista con mire elitarie nell’ambito di un piccolo e raffinato college del Vermont che, sin dalle prime pagine e grazie ad un epico monologo, mette il lettore dinanzi all’omicidio compiuto ai danni di uno studente, ritenendosi oltretutto parte in causa dell’evento.
L’ambientazione tipicamente da Dark Academia ci accompagna in un romanzo di formazione, in un thriller psicologico, in un mistery, in una voragine di dissolutezza, di ricchezza e di eleganza gotica in cui l’amore per la cultura classica si spinge ad un tal punto da portare all’alienazione dalla realtà, alla perdita dei valori etici basilari, alla menzogna, ai culti proibiti del passato intrisi di alcool, di estasi e di follia. In questo ottundimento sensoriale si inizia a perdere la ragione dando il via ad una sequenza di eventi che cambieranno tutti, a partire dal narratore che, affascinato da un ristretto gruppo di studenti di greco, finirà con l’essere travolto dalla loro dissolutezza e dalla pavidità dello stesso docente del corso.
Nella lettura si è accompagnati dal gruppo di studenti colti, belli e dannati, le cui vite scorrono tra giochi erotici, traduzioni, droghe e presunzione che però attraggono Richard il quale, sedotto, si renderà conto che dietro alla fascinazione emerge una realtà inquietante, pericolosa, seducente pur se accompagnata dalla figura del professor Julian Morrow, mentore apparentemente positivo e circondato da un’aura divina ed elitaria, nonché abile manipolatore.
Ad un certo punto ci si imbatte nel crollo delle illusioni che altro non è che il ritorno alla realtà… e qui mi fermo per lasciarvi la curiosità di affrontare un romanzo lungo, elegante, scritto divinamente… e se ogni tanto vi troverete arenati non mollate e proseguite nella lettura perché ne sarà valsa la pena!
L’edera soffoca gli alberi, Violette, non dimenticare mai di tagliarla, mai. Appena i pensieri ti portano verso le tenebre prendi la cesoia e taglia via la tristezza “.
Mi era stato consigliato molto tempo fa da una perfetta sconosciuta, poi ho parzialmente rimosso l’informazione tuttavia senza mai accantonare la possibilità di leggerlo. Almeno sino a qualche giorno fa quando, cercando tutt’altro sul motore di ricerca, mi è comparsa la copertina, ci ho cliccato sopra e mi si è aperta un’inserzione Vinted… da anni leggo solo ebooks eppure è scattato qualcosa e l’ho acquistato d’impulso dando il via ad una spasmodica attesa.
Appena ho aperto il pacco era lì, perfettamente imballato, un gioiello tenuto come una chicca, con i colori tenui della copertina, l’ho accarezzato, annusato, sfogliato, con l’impazienza di iniziare la lettura, addirittura abbandonando un altro libro, molto bello, del quale vi parlerò a breve.
È un romanzo che mi ha tenuta incollata alle pagine, una dopo l’altra, commovente, ironico, leggero e delicato, che tesse il suo filo conduttore sulla figura di Violette Toussaint, guardiana di un cimitero della Borgogna, donna apparentemente ordinaria ma che cela una grande personalità e una lunga serie di dolori immensi. Violette regala sorrisi solari e gentilezza a chiunque la incontri nel cimitero che cura con dovizia maniacale, andando ben al di là del proprio dovere di custode e donando ad ogni essere umano il rispetto e la gentilezza che merita.
Un giorno nel “suo” cimitero si presenta un poliziotto di Marsiglia con una strana richiesta relativa alle ultime volontà della propria madre, dando origine ad un susseguirsi di scoperte inaspettate, tra flashback, racconti e diari di amori non detti, silenziosi, di esistenze che prendono forma e colore ad ogni capitolo e in cui alcune anime nere si rivelano non esserlo affatto.
Violette è speciale, è una figura delicata che ciascuno di noi vorrebbe incontrare sulla propria strada, è capace di far prevalere un inguaribile ottimismo sopra ogni avversità e di sopravvivere anche al dolore più grande semplicemente meravigliandosi delle piccole gioie quotidiane.
È un libro sull’amore silenzioso, sulla delicatezza, sulla sofferenza emotiva, sulla tristezza, sulla semplicità e sull’ironia, un libro che divori pagina dopo pagina e che quando lo finisci ti manca immensamente e ti lascia un buco nel cuore. Perché si tratta anche di una storia di resilienza e di rinascita in cui frammenti di istanti si incastrano alla perfezione in una maestria narrativa che incanta, in una poesia che accarezza l’anima, in un continuo alternarsi tra passato e presente con continue sfumature emozionali che vanno dall’ironia all’introspezione, dalla drammaticità alla forza morale, dai grigi invernali ai rosa estivi di Violette.
Uno dei più bei libri che io abbia mai letto, un volume entrato per caso in una libreria stipata già al limite, ma che è arrivato per rimanervi, perché solo ad accarezzarne la copertina mi ha fatto star bene.
Rieccomi con il capitolo dedicato alla lettura, questa volta con un libro stranissimo, non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, ma un inanellarsi di storie legate alla personalità del personaggio, un ragazzo affetto da una sindrome molto particolare: egli soffre di empatia, ossia della capacità di immedesimarsi nelle storie e nelle vite altrui.
Non è un libro che si possa descrivere bensì solo vivere, tant’è che sto faticando a parlarne, soprattutto perché può bloccare anche il lettore più avvezzo a opere complesse ma anche essere amato.
L’inizio è stato destabilizzante, tuttavia ho voluto proseguire nella lettura con cocciutaggine perché è scritto molto bene, ha dei passaggi che mi hanno riportato alla filosofia, materia che non ho mai amato particolarmente in quanto sono una persona molto razionale e concreta. Però è bello e induce alla lettura, una lettura che ci scaraventa in un mondo in cui un bambino si immedesima nelle esperienze altrui, vivendole sulla propria pelle come fossero proprie, il tutto descritto in brevi paragrafi che cambiano direzione continuamente e nei quali il protagonista entra nella vita del proprio nonno, per poi divenire animale, persone, sensazioni astratte…
Ad un certo punto della sua vita adulta questo meccanismo empatico si inceppa e per poter vivere le vite altrui egli si trova a dover comperare le storie che gli vengono raccontate, diviene semplicemente un mercante di storie per poter sopperire all’empatia scomparsa, forse guarendo o probabilmente ammalandosi di una mancanza di comprensione che risultava invece naturale nell’età dell’innocenza.
Nel mentre le pagine scorrono velocemente tra un susseguirsi di metafore, anche di digressioni che personalmente mi hanno mandata un po’ fuori fase, ma soprattutto di emozioni.
La figura cardine dell’opera è il minotauro, come quel labirinto in cui vive e che alla fine è sempre in agguato anche per noi e non solo per il minotauro, che, a dispetto dell’apparenza, non è un mostro bensì lo siamo noi. Perché il minotauro non è il carnefice quale viene descritto dalla cattiveria umana, ma solo la vittima di un sistema che ci vuole soli e impotenti dinanzi alle nostre emozioni.
Sostanzialmente in questo labirinto tutto il mondo viene rovesciato, l’empatia serve ad opporsi alla violenza e la malinconia diventa forza… ci ho riflettuto parecchio prima di capirlo o almeno questo è quanto io ho compreso.
Ho faticato molto, moltissimo, perché leggere questo libro è come nuotare nella tempesta, c’è un continuo cambio di direzione, riferimenti alla filosofia greca, ai grandi classici, inoltre è stata la prima volta in cui mi sono addentrata nella letteratura bulgara.
È un sì? Non lo so, non ancora. Se lo leggete datemi le vostre opinioni.
È innegabilmente un periodo in cui affronto letture non scontate, decisamente impegnative e spesso destabilizzanti; nonostante ciò ritengo, almeno per quanto mi riguarda, che attraversare una fase di stabilità emotiva aiuti molto ad apprezzare alcuni libri, senza necessariamente farsi trascinare in un vortice doloroso.
Inizio così questo argomento vista la tipologia di romanzo, che non traspare minimamente dal titolo, ma che è un romanzo sul dolore, sull’elaborazione del lutto e che trae la propria genesi dal 30 dicembre 2003, data in cui John Gregory Dunne, coniuge dell’autrice, decede improvvisamente, lasciando la scrittrice in un limbo che lei stessa definisce “l’anno del pensiero magico”. Da questo istante inizia una fase in cui il lutto e i momenti onirici sovrascrivono la vita, in cui l’addio all’uomo amato sembra un atto impossibile da compiere, specie in quanto aggravato dalla malattia di Quintana, figlia della coppia; si apre, nel contempo, una sorta di profondo colloquio con la morte, un momento in cui un’intera vita viene riesaminata alla luce della sua caducità, dalla malattia alla fortuna, spesso data per scontata, dalle parole non dette alla consapevolezza dell’ineluttabilità della fine.
È più di un romanzo, è la celebrazione del parossismo e della rinascita, è un libro intimo che tratta di solitudine, di lutto, di dolore ancora pulsante che, ad ogni pagina, scopre nuove ferite con le quali dover fare i conti.
È un libro che dev’essere costato molto dolore nella sua stesura ma, si comprende, come sia stato un atto necessario per prendere coscienza del ruolo dei ricordi, dei rimpianti e delle possibilità del presente.
Affronto sempre dei testi dai quali io possa apprendere qualcosa e, in tutta onestà, ammetto di averlo iniziato con non poco timore, con il brivido di rischiare l’emotività che mi accompagna da sempre, specie ora che finalmente ho raggiunto un soddisfacente livello di serenità e consapevolezza, ma così non è stato e ne sono uscita tutta intera. Mi ha permesso però di riflettere su quali possano essere le situazioni personali di chiunque e di come sia essenziale rapportarsi a qualunque essere umano con gentilezza e rispetto perché non sia mai che chi ci sta di fronte possa essere una “Joan Didion” che cerca dignitosamente di rimanere a galla.
Ho pensato a lungo se parlarvi di questo libro o meno, è stato un romanzo difficile, molto faticoso, strutturato in maniera astrusa e complessa, però è scritto in maniera magistrale, le parole si fondono nelle storie, in quelli che paiono semplici racconti, delle volte apparentemente senza nè capo nè coda, ma che alla fine confluiscono in un unicum di tutto rispetto.
Cerco di andare con ordine perchè la struttura, a mio avviso, non è scontato venga compresa immediatamente, almeno io ho faticato ad entrare in quest’ottica.
Il romanzo è suddiviso in quattro sezioni, così come la struttura morfologica degli alberi: radici, tronco, chioma e semi.
Nella prima parte, quella dedicata alle radici, si sviluppano le premesse che portano alla comprensione di ogni personaggio, iniziando dalla famiglia Hoel che, nell’Iowa, vede sopravvivere un unico castagno a seguito della decimazione di tutti i castagneti della zona, arbusto che incarna il simbolo di quattro generazioni e che vedrà dipanarsi un’infinità di avvenimenti attorno a sè.
Lasciamo gli Hoel per incontrare Winston Ma, cinese americano, e le sue tre figlie, tutti legati alla figura di un gelso e alla potenza del simbolismo culturale delle origini.
La famiglia Appich decide invece di piantare un albero per ogni bambino nato, diversificando il tipo di pianta a seconda del nascituro, decidendo delle volte inconsciamente dell’indole futura e della sorte del predestinato: in tutto ciò si evidenzia la figura di Adam, affetto da un disturbo dello spettro autistico e appassionato di entomologia, rappresentato da un acero e che, dopo un’adolescenza complicata, trova la propria strada anche grazie all’estrema sensibilità che lo contraddistingue.
Ray Brinkman e Dorothy Cazaly, uniti da un rapporto professionale, estendono la loro frequentazione alla sfera privata, nonostante i freni posti da lei, spaventata dal senso di possesso intrinsecamente legato ad una relazione stabile ma che, alla fine, lascia il posto ad un’unione duratura che vede nascere un albero per ogni anno di vita coniugale.
Incontriamo Douglas Pavlicek che, dopo aver superato un duro esperimento carcerario, si arruola nella US Air Force e subisce l’abbattimento del proprio velivolo: viene salvato dai rami di un albero di baniano e gli si apre la vista sulla consapevolezza del deforestamento. Da qui inizia la seconda parte della sua vita, interamente dedicata al rimboschimento, nonostante sia cosciente che la sua fatica sia solo una goccia nell’oceano.
Neelay Mehta è un giovane affascinato dall’informatica sino all’ossessione il quale, a seguito della caduta da un albero, subisce un infortunio invalidante che però non lo fermerà nel suo percorso di approfondimento della materia che lo appassiona, fino a creare un videogioco immersivo che coinvolge i giocatori in un mondo virtuale, anch’esso ispirato dalla visione degli alberi del campus universitario in cui vive.
Patricia Westerford è una ricercatrice in ambito botanico e scopre che gli alberi comunicano ed interagiscono per il tramite di sostanze chimiche, scoperte inizialmente accolte e successivamente ridicolizzate dal mondo accademico, con la conseguenza di portarla a ritirarsi nei boschi, nonostante nel mentre la sua ricerca sia stata riabilitata.
Olivia Vandergriff frequenta il college quando viene accidentalmente fulminata e il suo cuore si ferma…
E arriviamo alla seconda parte, quella del tronco, in cui il cuore di Olivia si riavvia dopo novanta secondi di blackout completo, percependo creature di luce che la inducono a lasciare gli studi per unirsi agli attivisti ambientali che stanno tentando di salvare le sequoie californiane; lungo il proprio percorso incontrerà Nick Hoel iniziando quindi a dare un senso logico alle storie spezzettate della prima parte dell’opera, anche perchè nel frattempo il gruppo di volontari crescerà ulteriormente.
Nello svilupparsi dell’intrico del romanzo tutti i protagonisti della prima parte troveranno la propria strada, intimamente legata agli alberi, svolgendo il proprio futuro tra successi personali e dolori immensi. La difesa dell’ambiente prosegue nonostante alcune iniziative lacunose ed infruttuose atte a fermare il disboscamento e che inducono il gruppo ad abbandonare i metodi pacifici a favore di atti di ecoterrorismo, durante i quali c’è chi paga tale esecrabile scelta con la propria vita.
Nella parte dedicata alla chioma, ciascuno dei protagonisti, abbandonate le azioni violente poc’anzi descritte, ritorna alla propria professione e ai propri studi, intricando però ulteriormente la trama e le vicende degli stessi, come ogni chioma fitta che svetti verso il cielo.
Siamo arrivati ai semi, sezione in cui si estrinsecano gli atti finali delle vite intrecciatisi sino a qui, chi nella buona sorte e chi nel dolore, che non riporto per ovvii motivi nel caso in cui qualcuno sia sopravvissuto fino a questo punto della mia descrizione e che, nonostante tutto, abbia ancora la curiosità di leggere questo libro stranissimo, oltretutto vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2019.
Sicuramente la tematica è assolutamente originale nonostante la struttura a mio avviso complicatissima e in merito alla quale porto il massimo rispetto per le innegabili capacità dell’autore; può sembrare un testo ruffiano in un momento in cui il tema ambientale fa parte del trend attuale (dal quale mi discosto nettamente avendo sempre rispettato tutti gli esseri viventi e non viventi per mia educazione personale e in cui non mi ci ritrovo per scelta politica del momento storico in cui siamo collocati), ma lo trovo interessante anche in merito al punto di vista di antropocentrismo che viene adeguatamente analizzato e sviluppato.
Una riflessione mi è rimasta tatuata nel cuore: “Se si vuole conoscere i segreti della Natura, bisogna praticare più umanità”.
A conclusione di tutto ciò, nonostante la fatica iniziale, posso dire con ragionevole certezza che si tratta di un’opera immensa e di un inno d’amore alla letteratura: se la amate al pari di me la apprezzerete.
Oramai in questo piccolo angolo del mio mondo virtuale si cucina ben poco ma si nutre lo spirito in maniera piena e soddisfacente, tra viaggi e tanta lettura: i libri costituiscono un elemento che mai può mancare nella mia vita, ogni libro è una sorta di copertina di Linus che mi accompagna tutto il giorno, anche se con la consapevolezza che spesso non riuscirò ad aprirlo fino a sera.
Da sempre affascinata dal mondo delle parole, pochi giorni fa ho ripreso in mano un romanzo abbandonato in un momento in cui la mia vita stava attraversando un periodo troppo difficile per poterne apprezzare appieno la portata, poi è stato un flash immediato, me ne sono ricordata e l’ho ripreso iniziando dalla prima pagina con un’urgenza che non saprei spiegare, come se la mia vita fosse dipesa dalle sue pagine stampate.
L’inizio effettivamente disorienta, se il lettore non si trova in una situazione di equilibrio e stabilità può creare qualche problema, ma poi ci si trova dinanzi un capolavoro di parole, di sintassi, di emozioni indescrivibili, accompagnati nella vita di Theo Decker, dolce ragazzino amato da una madre devota e unica presenza genitoriale della sua giovane esistenza e che lascia un trauma lacerante nella sua fragile psiche nel momento in cui perde la vita in maniera violenta ed inaspettata a seguito di un’esplosione che distrugge il Metropolitan Museum di New York.
Dopo aver vagato nello smarrimento e nell’inutile inutile attesa della madre, lascia la casa di Park Avenue per essere accolto dalla benestante famiglia di Andy, uno dei pochi amici presenti nelle sue frequentazioni, ma non prima di aver portato con sé, sottraendolo alle macerie del museo, un piccolo quadro di Carel Fabritius raffigurante un cardellino e che, mentre manterrà in lui il ricordo dell’innocenza dell’infanzia, lo tormenterà fino all’epilogo del manoscritto.
Per un breve periodo la vita di Theo proseguirà tra i quartieri di New York, in una vita binaria divisa tra Andy e la figura di un antiquario, compagno di vita e socio di un’altra vittima dell’esplosione, nonché con la presenza costante di una ragazzina, Pippa, che a prima vista sembra avergli rubato il cuore.
La mite figura di Andy lo accompagnerà per una parte del suo percorso, finchè, a seguito di un padre distratto che ricompare improvvisamente nella sua vita, da New York volerà nel Nevada, al limitare della distesa desertica, dove la propria solitudine confluirà in quella di Boris, bellissimo personaggio che lo accompagnerà, pur se a tratti alterni, per tutta la vita, costituendo un porto sicuro per la sua anima, nonostante gli effetti devastanti dovuti alla vita sregolata del ragazzo, ma introducendolo ai primi battiti del cuore e alle prime emozioni di una potenziale relazione omosessuale, pur se ancora in fieri.
Ritroveremo Theo nuovamente a New York, in bilico tra un rapporto sentimentale incompiuto e fallimentare, l’amore per Pippa e la presenza costante di Boris, a parer mio la figura più affascinante del romanzo e che, alla fine e senza voler spoilerare alcunchè, è quella che meglio avrei visto accanto a Theo, quale compagno di vita, nonostante gli eccessi e la sregolatezza.
È un romanzo sul dolore ma che non ferisce, è un romanzo sul trauma e sulla ricerca della felicità anche nel buio più nero, è un romanzo di profonda riflessione che si chiude con una tirata urgentissima e sincopata sul senso di tutto ciò che si è vissuto, sull’aver sfiorato la morte troppe volte ed esserne sopravvissuti, è uno dei libri più belli che io abbia mai letto, che pur se corposo mi ha tenuta incollata alla lettura dal mattino alla notte, con il fiato sospeso e il cuore in subbuglio. Se ne esce diversi.
E’ il secondo libro uscito dalla penna di questa autrice che mi trovo a leggere, ne avevo sentito parlar bene, l’ho iniziato con curiosità e per due giorni non mi sono mai staccata dal Kindle: posso proporlo a questo punto, vero?
E’ un romanzo, semplicemente un romanzo, una storia meravigliosa e piena di sensibilità che narra il difficile e complicato rapporto tra Louisa e Will, lei modesta e coloratissima ragazza di provincia e lui giovane uomo che compare nel prologo quale iperattivo e ricco carrierista e che ben presto si ritrova a fare i conti con la sua vita spezzata da un imprevisto infortunio fortemente invalidante.
Louisa, chiamata semplicemente Clark da Will, si ritrova assunta dai genitori di Will, incapaci di affrontare il dolore del figlio per la perdita della propria autonomia, allo scopo di distrarlo dalla ferrea volontà di smettere di vivere, di fuggire per sempre dal dolore fisico, dalla totale dipendenza dagli altri anche per i minimi bisogni personali, dalla perdita della propria dignità.
Nello svolgimento di tale incarico inizialmente fatica moltissimo a rapportarsi a Will, al suo pessimo carattere inasprito dalla sofferenza, alla sua determinazione e al suo carattere autoritario, ma non si dà per vinta poichè a tutti i costi vuole riuscire ad instillare nuovamente in Will l’interesse per la vita, l’amore per quanto lo circonda.
L’energia e la voglia di vivere di Lou piano piano si fanno strada nell’anima di Will facendo breccia nel suo cuore, così come lei stessa inizia a cambiare grazie a lui e in breve tempo le loro vite, pur con piccoli passi impercettibili, saranno cambiate per sempre.
E’ la storia di un incontro tra un uomo che ha conosciuto il successo, il potere e la ricchezza, per poi perdere tutto improvvisamente, ed una donna che ha scelto di rimanere nel proprio mondo sicuro, senza colpi di scena, banale e ripetitivo, eppure tra di loro c’è una sorta di rimettersi in gioco, senza rinunciare mai a se stessi, ma imparando sempre l’uno dall’altra, sfidandosi continuamente, tra battute ironiche e momenti di tenerezza; è la storia di un amore profondo che va al di là delle barriere fisiche e che si nutre di gesti di profonda generosità, di comprensione, di altruismo.
E’ un libro tenerissimo e doloroso, in grado di affrontare un tema difficile senza alcuna retorica nè banalità, bensì con moltissima sensibilità, sono pagine leggere ma costantemente permeate di sentimento, commoventi sino all’ultima riga… che lo abbia terminato con i lacrimoni era scontato (avevate dubbi?)… è davvero solo un romanzo, senza nessun’altra pretesa, ma realizzato con una scrittura semplice, lineare e pulita, eppure bello, tanto tanto bello.
In quel momento mi accorsi che dietro il rivestimento c’era qualcosa. Era un pezzetto di carta ripiegato più volte: una lettera, scritta con calligrafia convulsa. L’inchiostro era sbiadito, le macchie di umidità avevano cancellato alcune parole. Ebbi una fitta al cuore.
«Quella barca l’ha comprata un tizio della Germania Est» disse. «Ne è passato di tempo, qualche anno dopo la riunificazione.» «Sì, ma ora è mia» gli spiegai, fingendo di non essermi accorta del lieve disprezzo con cui aveva pronunciato le parole “un tizio della Germania Est”.
Nuovamente ho scelto un libro in base all’ambientazione, grazie al mare che in me crea sempre un’attrazione magnetica, qualunque ne sia la latitudine: qui ci affacciamo sulle coste del Baltico e l’ambientazione si srotola tra Amburgo, Rügen e Sassnitz, luoghi meravigliosi della Germania del nord, di un fascino terribile, sferzati dai venti gelidi marini eppure in grado di regalare, durante la bella stagione, un sole inaspettato.
Qui incontriamo Annabel che, con la compagnia della dolcissima figlia Leonie, sta cercando di ricostruirsi una vita dopo un periodo lacerato dai dolori di un passato mai dimenticato e di un matrimonio fallito miseramente e proprio nel momento in cui mette nuove radici le cose sembrano cambiare completamente, iniziando a volgere per il meglio; il tutto parte dalla “Rosa delle tempeste”, imbarcazione male in arnese che nel corso della sua lunga vita è stata utilizzata quale peschereccio, quale dragamine ma, soprattutto, per aiutare nella fuga i tedeschi della DDR verso il benestante Ovest e verso la libertà.
Alla base della vita di Annabel c’è una storia ancora non chiarita legata agli eventi precedenti la caduta del muro e continuamente si imbatte in episodi ancorati alla situazione politica dell’epoca che ha segnato tutti coloro i quali rivestono una posizione significativa nel testo: da Christian, che diverrà suo socio in affari nell’acquisto dell’imbarcazione, al gestore di uno dei principali alberghi della zona, all’ex capitano della “Rosa delle tempeste”, tutti indissolubilmente legati alle violenze perpetrate dalla Stasi nell’epoca antecedente l’unificazione tedesca.
I tratti storici sono appena delineati, tuttavia nell’armonia di un romanzo scorrevole e arioso è chiaro l’atteggiamento repressivo e i relativi danni causati dall’operato del MfS (Ministerium für Staatssicherheit, comunemente conosciuto quale Stasi), a prescindere da valutazioni ideologiche o politicizzate che qui non trovano fortunatamente spazio: è un romanzo, fine a se stesso, ma che trova fondamento in ciò che ha veramente rappresentato per il popolo tedesco un periodo buio della storia e che magari il lettore può avere l’occasione di approfondire un po’ per propria cultura personale.
Colpisce come, tra le pagine, l’autrice abbia voluto evidenziare una sorta di emarginazione e di atteggiamento sprezzante, da parte degli abitanti tedeschi dell’ovest, rispetto a quelli dell’ex Germania filosovietica, quali fossero dei diversi, degli emarginati a causa della loro povertà.
In queste pagine c’è lo spazio per il riscatto, per un equilibrio ritrovato, per la volontà di rinascita, per il perdono, per la volontà di abbandonare il rancore a favore di una giustizia dei sentimenti pur senza dimenticare ciò che è stato e i torti subiti, le vite rovinate e perdute.
Ancora una volta ho scelto un romanzo dei sentimenti, senza un vuoto dietro ma con un’ambientazione ben precisa e radicata nella storia dei popoli, raccontata in modo non pesante ma efficace e situata in un contesto geografico affascinante, un’opera in cui alla fine la vera protagonista è la “Rosa delle tempeste”, ma in cui l’elemento umano è evidente nella prosa pacata narrante i sentimenti in maniera molto intima e privata pur nella loro devastante potenza.
Non è mai troppo tardi, mai, nemmeno un’ora prima del nulla.
Avevo già incontrato, sulla mia strada di lettrice vorace, questa autrice con “Una piccola libreria a Parigi”, ma ero rimasta un po’ interdetta dal suo stile un po’ strano, forse per i miei gusti troppo confuso, diverso da ciò cui sono abituata di solito… invece con questa seconda lettura forse ho iniziato a comprenderla meglio perché le sue frasi talora rimangono con il senso sospeso nel vento, cariche di una poesia che caratterizza ogni riga che esca dalla sua penna, ricche di una delicatezza cui forse non sono avvezza.
Qui si narra il ritorno alla vita di Marianne, il suo ritrovare la strada dopo aver cercato la morte, il suo anelito profondo di esistere e di rinascere dopo aver toccato il fondo più cupo della propria spersonalizzazione, vittima dell’indifferenza di un marito che l’ha annullata in ogni sfumatura della sua personalità.
Marianne è tedesca e inizia il suo viaggio verso la vita proprio dalla ricerca della morte, sopravvissuta ad un tuffo da Pont Neuf e salvata dalle gelide acque della Senna da un clochard gentile e premuroso, ma ben presto da Parigi si trova in Bretagna e lì esplode tutto il suo bisogno di riscatto, la sua rivendicazione dei sentimenti sopiti ed annullati, schiacciati dalla personalità egoista di un uomo sbagliato e fedifrago che ben presto si mette sulle sue tracce per trovare dinanzi a sé una donna cambiata, una donna che a sessant’anni si è innamorata, che ha avuto il coraggio di rimettere in discussione tutta se stessa grazie alla generosità degli abitanti del meraviglioso paese sull’oceano cui è approdata seguendo una tegola dipinta che lo rappresentava.
Ed è proprio all’autore di quella tegola che lei arriva, riconoscendolo subito come la sua perfetta metà, lontano anni luce dalla pochezza della vita che ha lasciato a casa e che, nonostante i mille dubbi e i sensi di colpa che l’attanagliano, continua ad attenderla con amore, dedizione e pazienza.
Marianne è una donna che diventa molto bella, a tratti speciale, quasi una maga che solo al contatto con gli altri ne riesce a captare i pensieri più intimi, che riesce ad entrare negli anfratti dell’animo umano, che la notte si siede sulla spiaggia e suona alla luna, che nella notte di Samhain può sentire il mondo dei morti che si congiunge a quello dei vivi… ed è grazie al suo istinto che riesce alla fine a scegliere la strada giusta, quella che porta alla sua felicità e a quella dei paesani che l’hanno amata da subito, all’amore di Yann e al ricordo dolcissimo di Sidonie, al cuore di tutti gli altri abitanti di Kerdruc che generosamente le hanno insegnato la lingua bretone e tutte le tradizioni pagane che costantemente arricchiscono le pagine di questo libro dolcissimo e poetico.
E’ un testo delicatissimo, ben scritto nonostante (a mio avviso) un errore di traduzione nelle prime pagine che mi ha confuso un po’ le idee, è un libro da leggere perché è un inno alla vita, alla volontà di trovarvi quanto di più bello vi possa essere in qualsiasi situazione, è poesia pura, delicatezza, comprensione delle debolezze umane, perdono e tanto tanto amore.
A differenza delle parole, gli odori arrivano dritti ai sensi delle persone. E’ l’olfatto il primo dei sensi in assoluto, perchè si annida negli oscuri recessi dell’anima primordiale e reagisce alle sollecitazioni secondo una serie di archetipi olfattivi nati con l’uomo. E’ emozione pura.
Dopo la lettura de “La custode del miele e delle api” sono ritornata sulle pagine della stessa autrice, incantata dalla sua delicatezza nel trattare i sentimenti e nel delineare il carattere dei personaggi, questa volta inizialmente con più fatica, probabilmente a causa delle condizioni fisiche non ancora ottimali che mi stanno costringendo ad un riposo forzato e che mi stanno innervosendo non poco.
Spesso ho trascorso ore in ascolto della mia musica preferita e rilassante come questa, ma alla fine mi sono rimessa in riga affrontando seriamente la lettura (per chi ancora non mi conosce abbastanza, quando mi immergo nelle note non connetto più), che comunque nelle prime pagine, a parer mio, scorre in maniera confusa.
Attraversati i primi capitoli ci si ritrova in un romanzo bellissimo, scritto bene e con la consueta delicatezza che contraddistingue questa autrice, in un’atmosfera anomala in cui sono i profumi a condurci per mano in un mondo inesplorato fatto di aromi che si fondono con l’anima.
Le prime pagine partono da un antico laboratorio di Firenze, ma bel presto la storia si dipanerà lungo le strade di Parigi, nei vicoli del Marais, dove Elena, la protagonista, sarà finalmente in grado di riaprirsi alle emozioni, da troppo tempo sopite e volutamente ignorate, semplicemente seguendo un percorso olfattivo tra l’aroma delle rose, del neroli, del bergamotto e del vetiver, lasciando che pian piano il suo cuore si riscaldi tornando alla vita poichè, come per i profumi, l’aroma si sprigiona dando il meglio di sè solo quando il seme viene riscaldato….
Tra le pagine si legge spesso che i profumi costituiscono un sentiero e che solo percorrendolo si potrà arrivare alla piena consapevolezza di sè e di quello che per noi stessi è il profumo perfetto, si apprende che ogni sentimento ha un proprio odore, c’è l’aroma della rabbia, della paura, della felicità… ed Elena riesce a captare queste sfumature nelle persone che ha davanti e proprio grazie a questo dono riesce a comprendere al meglio i sentimenti altrui, ponendosi dinanzi chi la circonda con estrema gentilezza e sensibilità.
Mi ha attratta moltissimo l’argomento trattato poichè, come riportato nella frase di apertura (tratta dalle pagine del libro), i profumi entrano nei recessi dell’animo umano e spesso un aroma mi riporta all’infanzia con una puntualità che nessun altro ricordo può, con una prepotenza che ha dell’incredibile; è vero che il profumo è la prima memoria storica di un individuo, si stampa nella mente e non se ne va più, altrimenti non potrei ancora oggi associare il profumo dell’origano e della maggiorana al ricordo della mia nonna e dell’orto sotto il sole cocente dell’estate, quando l’aria era immobile e si sentiva solo il ronzio degli insetti all’ora di punta.
Posso dire onestamente che questa lunga disquisizione sulle qualità olfattive mi ha rapita in quanto da sempre incantata dagli olii essenziali, dall’aroma dei fiori, dalle profumazioni naturali e non di sintesi, dall’alchimia degli antichi laboratori e dalle relative lavorazioni artigianali, ma soprattutto questo è un bellissimo romanzo sulle insicurezze dell’animo umano e sulle capacità dell’individuo di affrontarle e di superarle.