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Un po' del mio mondo/ Viaggi

Di nuovo in giro per il mondo: Islanda – giorno 1

Ve lo dico subito: non era previsto… ma.

Era il mio sogno della vita, il Grande Nord.

Avevo un altro sogno, salire su un aereo e volare.

E mentre me ne stavo per conto mio a studiare una vacanza completamente diversa, mio marito mi ha trascinata di peso in agenzia viaggi e mi sono trovata il regalo più bello… lui, il sogno della mia vita, già studiato e confezionato.

Più di un mese di attesa e arriva “il” giorno, quello carico di emozione, di tensione, di aspettativa, anche di pioggia, tanta pioggia, cosa che accentua la mia ansia da neofita del volo. Sono state settimane faticose, condite dall’incubo di dover vuotare casa in quanto gli operai, attesi da tempo immemore, hanno sommato l’inizio della ristrutturazione alla data della nostra partenza.

È il 2 maggio, le cagnoline già sono in crisi a causa del caos in casa, vedono le valigie e si preoccupano ancora di più, la mia ansia sale ma alla fine saliamo sul pulmino del transfer che ci porterà all’aeroporto di Venezia. Lì inizia quella che per me è già una giostra fatta di check-in, di controlli, di gates e di altre parolacce che mi confondono sempre di più.

Un altro pullman e mi ritrovo sull’aereo, una trappoletta piccina che mi rende claustrofobica, inizia il panico, siamo in ritardo fortissimo e rischiamo di perdere, a Vienna, il volo per Keflavik… insomma non il migliore dei battesimi!

Mio marito ride e mi filma mentre il decollo mi vede impallidire, ansimare, tremare e irrigidire ma… ce l’ho fatta! In pochi secondi la laguna di Venezia si stende sotto di noi come il plastico di un trenino ed è subito magia! Sono stata rilassata? No. Emozionata? Moltissimo.

La corsa a Vienna per non perdere il secondo volo è stata epica e condita dal timore che non riuscissero a caricare i bagagli, ma almeno il velivolo che mi sono trovata davanti era molto più spazioso e decisamente più grosso. Il decollo è stato paurosamente emozionante, incollata ai sedili ed impennata come non mi aspettavo, ho sorvolato la Germania, la Danimarca, il Mare del Nord, ho visto il sole sorgere ai miei occhi alle 23 mentre ci avvicinavamo al Circolo Polare Artico, ho avuto paura perché il volo era lungo, i motori erano enormi e ruggivano, poi la discesa in mezzo alle nubi, sentire il vuoto nello stomaco, non vedere nulla al di fuori della propria impotenza e del senso di ingabbiamento. E di colpo le luci di Keflavik, un atterraggio “in tromba” (comprendo il ritardo ma devo aver imbroccato un pilota allegro e molto sicuro di sè)… ed eccomi in terra d’Islanda, il mio sogno, quello che mai avrei pensato di poter realizzare ma mio marito mi ha davvero regalato un sogno!

Tra le pratiche per il noleggio della nostra gippetta e la strada fino a Reykjavik abbiamo raggiunto il cuscino, stanchi ed affamati, alle due del mattino (le quattro ora italiana)…

Ho voluto condividere le mie emozioni di una giornata speciale, una di quelle che attendi da tutta una vita, anche se ho iniziato il post per raccontarvi del primo impatto con la natura selvaggia di questo luogo incantato, ma va bene così. Ci rileggiamo domani che vi racconto il resto?

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Asiago e il Santuario della Madonna del Buso

Ultima, e più bella, tappa della nostra piccola vacanza: lasciamo Schio per l’Altopiano di Asiago, da sempre incuriositi ma totalmente digiuni in merito, a parte i consigli generosamente forniti da mio figlio, ospite di un’amica per due estati di fila.

Già all’arrivo sull’altopiano mi si apre il cuore: una meraviglia! Paesaggio incontaminato, paesini graziosi, prati immensi che sembra quasi di stare in Austria, caseifici ovunque! Prima di fermarci in paese proseguiamo alla volta della chiesa della Madonna del Buso, attirati per la nota forra sita al di sotto dell’edificio: decidiamo di lasciare il camper a 500 m. dall’edificio a causa dei ricorrenti avvisi di limitazione dell’altezza a due metri (noi siamo a 3,15 e rimanere incastrati senza poter invertire il senso di marcia è l’ultima cosa che vogliamo), in realtà poi rivelatisi infondati, anzi… dinanzi alla chiesa vi è un bellissimo parcheggio che ci avrebbe consentito di manovrare il veicolo molto più agevolmente. Visitiamo la chiesetta e scendiamo lungo la scalinata scavata nel bosco fino al letto del fiume (in secca): uno spettacolo! Non aggiungo altro: ammirate voi stessi!

Il santuario
La forra
Ancora piena di ghiaccio

Ritorniamo verso Asiago, una sosta per il pranzo e poi via verso il centro, ma non prima di aver fatto una deviazione per raggiungere il Caseificio Pennar: il paradiso se amate i formaggi e in generale i prodotti caseari. Esso nasce nel 1927, in seguito alla ricostruzione post bellica sulle rovine di un antichissimo caseificio turnario; oggi rispetta in toto il più rigoroso disciplinare nel rispetto della tradizione e dell’ambiente in quanto l’intero processo, dalla mungitura all’affinatura del formaggio, si svolgono in montagna. Il risultato è la qualità eccelsa e prezzi onestissimi, il che ci ha permesso di fare un po’ di scorta per le prossime settimane.

Terminata la tappa spendacciona ci siamo recati in centro: carinissimo e curato al top! Dopo tanti centri trascurati finalmente ho goduto di una cittadina che è un amore, piccola ma pulitissima, con dei negozi molto belli (purtroppo anche molto vuoti), un centro sicuramente da vivere! Noi ci siamo fatti una bella passeggiata nonostante il freddo cane e il vento gelido, ma ne è valsa davvero la pena: l’unico appunto che mi sento di fare, pur non avanzando alcuna critica, sono gli eccessivi divieti di accesso ai cani ovunque. Io provengo da una regione in cui, grazie ad una civilissima legge regionale del 2012, i cani entrano ovunque, tuttavia un po’ più di elasticità non mi avrebbe destabilizzata, specie in quanto ho incrociato molte persone con pelosetto al seguito e la temperatura esterna era davvero glaciale anche per i nostri quattrozampe.

Il palazzo comunale

Vi lascio la consueta carrellata di immagini e stavolta mi sa davvero che ci rivediamo a casa!

La statua di Santa Giovanna Bonomo, sopravvissuta ai bombardamenti del primo conflitto mondiale
L’unico danno subito: le dita di una mano, praticamente è stata miracolata tenendo conto che tutta l’area circostante venne rasa al suolo
Il duomo, spettacolare!
Ora entriamo per ammirarne l’architettura
Ci accoglie un interno stupendo
Ditemi se non è favolosa…
Con il naso per aria…
Incantevole
Gli stupendi mosaici del battistero
Una stupenda “Pietà” ci accompagna all’uscita

Non so se aggiungerò ancora qualche tappa al viaggio, qualcosa che valga la pena raccontare e raccomandare, quel che è certo che qui vogliamo ritornarci, c’è molto da vedere e da fare, i sentieri sono tanti e bellissimi, inoltre accanto al bellissimo parcheggio che ci ha ospitati per cinque euro al giorno, pur senza alcun servizio, stanno edificando un’area camper che si prospetta completa ed allettante. Asiago aspettaci!

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L’abbandono di un’ipotesi

Siamo a Schio, bella cittadina del vicentino, scelta in quanto dotata di un’area camper completa dei servizi di cui necessitiamo, oltretutto sembra offrire anche qualcosa di carino da visitare. Vi arriviamo con il cielo ancora gonfio di pioggia, tuttavia nel primo pomeriggio le nubi iniziano a diradarsi lasciando trapelare un raggio di sole, quindi decidiamo che vale una visita.

Ingresso del vecchio stabilimento Lanerossi

La cittadina è intimamente legata alla famiglia Rossi e al famoso lanificio, soprattutto perché il suo fondatore, Francesco Rossi, come spesso accadeva in passato, aveva a cuore i propri dipendenti al punto di realizzare davanti allo stabilimento un parco dove potersi svagare (Giardino e Teatro Jacquard), nonché un asilo per i figli dei dipendenti, non molto distante dal luogo di lavoro.

Inoltre lo stabilimento constava di cinque piani, ognuno dedicato ad una diversa fase di lavorazione della lana, mentre il sottotetto era dedicato al rammendo, tutti dotati di riscaldamento, finestre idonee all’ingresso della luce e servizi igienici, cosa non scontata per l’epoca.

Giardino e Teatro Jacquard (tutto chiuso)

Inoltre lungo le principali strade del centro si snodano varie tappe, segnate da palette descrittive, che consentono al turista di apprendere la storia di ciò che si accinge a visitare. Insomma c’è tanto materiale da sfruttare per rendere Schio un centro di interesse storico, culturale e di archeologia industriale… ma… ed ecco il perché del titolo di questo post… molti edifici sono abbandonati al degrado più totale, alla sporcizia, alla muffa (non li ho nemmeno fotografati, la sporcizia era rivoltante), mentre altri nonché alcune chiese, reputati bellissimi, sono chiusi, sigillati, transennati, senza alcun avviso atto a fornire una spiegazione, una auspicabile data di apertura, nulla se non l’inesorabile senso di abbandono.

L’asilo per i figli dei dipendenti

È valsa comunque la visita grazie all’esposizione, almeno questa in perfetto stato, delle turbine utilizzate a livello industriale grazie alla presenza dell’acqua, facendo ben comprendere quale importanza essa abbia rivestito per lo sviluppo manifatturiero.

Il castello
Ovviamente chiuso e in totale stato di abbandono
La chiesa della Sacra Famiglia, dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese fuggita dalla schiavitù e riavuta la libertà a Venezia (tenuta molto bene e particolare in quanto distante dai comuni canoni estetici cattolici)
Vetrata dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, chiamata Suor Moretta, visibile nella chiesa di San Giacomo
Chiesa di San Francesco, chiusa e in stato di abbandono nonostante sia ritenuta meritevole di visita
Il duomo, maestoso, immenso… e chiuso, barricato completamente da una cancellata
Le vie del centro, molto carino nonostante i troppi negozi sfitti che mettono sempre un podi malinconia
Finiamo con le turbine, almeno queste tenute benissimo!
Corso d’acqua a lato delle turbine, dove la potenza dell’acqua veniva trasformata in energia elettrica
Uno dei macchinari esposti nelle tre sale visitabili

Oramai ci avviciniamo a casa, domani saremo sulla via del ritorno, ma conto di sfruttare ancora qualche ora per conoscere ancora qualche angolino di questa bella terra… ci rivediamo domani sera!


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Sacrario militare del Pasubio, non solo un monumento

Ultima tappa storica voluta da Luca: il Sacrario Militare del Pasubio, monumento funebre eretto in onore dei caduti della Prima Guerra Mondiale nonché, al piano inferiore, l’Ossario.

Ho pensato a lungo se farci un post o meno, anzi a dire il vero propendevo per il no, innanzitutto per l’aspetto macabro della visita, ma soprattutto per il rispetto che porto verso quei poveri ragazzi mandati a morire nella solita inutile guerra. Tuttavia appena vi sono entrata mi sono trovata al cospetto di un edificio artisticamente notevole, dalla struttura curiosa ma soprattutto ricchissimo di affreschi, un tripudio di tinte sulle varianti del rosso, quasi un inno alla vitalità che possa rendere meno lugubre il significato del luogo.

Il monumento si erge sulla sommità del colle Bellavista anche se, quasi a dispetto del nome, noi vi siamo arrivati immersi nelle nubi dopo una notte di grandine e pioggia torrenziale; è stato aperto nell’anno 1926 e ospita 5186 poveri ragazzi strappati alle proprie famiglie. Altro non voglio aggiungere, forse (secondo il mio carattere) il dispiacere nell’aver constatato che nemmeno nella morte siamo tutti uguali, visti i titoli militari e spesso onorifici che accompagnano alcuni nomi incisi alle pareti, mentre a mio avviso sono state tutte persone cui è stata strappata la vita e rubato il futuro.

Vi lascio la consueta carrellata di foto perché artisticamente vale veramente una visita, ovviamente mi fermo alle porte dell’ossario per il dovuto rispetto a chi vi riposa.

Le nubi che ci accolgono all’arrivo
La forma molto particolare dell’edificio colpisce subito lo sguardo
La cappella che accoglie il visitatore all’ingresso
Si sale ai piani superiori
La ripidissima scala di 32 gradini che porta all’ultimo livello dell’edificio
Fa impressione vero?
Siamo all’ultimo livello
Anche le vetrate sono magnificamente istoriate e decorano l’intera costruzione
L’unica parte dell’ossario che vi mostro: la volta, anche qui la decorazione risulta molto curata, seppure giustamente più sobria
E qui mi fermo, entro da sola in silenzio per rispetto
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Passo Pian delle Fugazze e Valli del Pasubio, una passeggiata nella storia

Continua il nostro giro lungo le tappe storiche, per la gioia di Luca (il patito per la storia), di Bubu e Margot (che possono girellare spesso libere e annusare ovunque) e mia (che mi consolo pensando che l’attività fisica non può che farmi bene): iniziamo con il Passo delle Fugazze, siamo sul confine tra Veneto e Trentino Alto Adige, ai piedi delle Piccole Dolomiti.

La zona è stupenda e rappresenta il vecchio confine tra Italia ed Austria, storicamente legato alla notte del 24 maggio 1915 quando i soldati italiani lo attraversarono rimuovendone le insegne imperiali: le immagini sottostanti testimoniano tutto ciò, ma vale la pena inerpicarsi lungo il sentiero per pochi minuti in maniera tale da ammirare anche le incisioni confinarie sulla roccia.

Particolare dell’insegna posta a memoria dell’antico confine
Particolare dell’incisione posta sulla parete di roccia: curioso che il Leone di San Marco sia stato raffigurato con il libro aperto, simbolo di pace, proprio in zona confinaria
L’intera incisione, completa di date

La zona si presta a delle bellissime passeggiate in quanto, accanto ai percorsi storici presenta anche alcuni prati pianeggianti completi di tavoli con panchine, perfetti per un pic-nic nel corso della bella stagione. Il paesaggio che ci ha accolti è ancora brullo e la sera fa veramente freddo, ma in estate dev’essere magnifico!

Abbiamo poi proseguito per la zona di Vallarsa, dove si estende una interessante area storica rappresentante il Campo Trincerato Austroungarico di Matassone, tutto sommato piacevole da visitare visto il panorama che si gode dall’altura sulla quale ci troviamo; come sempre lascio le immagini a parlare perché i miei suggerimenti vorrei fossero delle mere indicazioni per una passeggiata in famiglia e non un mattone storico da digerire. Insomma, una perfetta gita in montagna con un pizzico di cultura.

Le mie pupette pelose curiosano ovunque
Una meraviglia per un pic-nic con vista aperta sulle Dolomiti!
Il parcheggio che ci ha ospitati la notte, purtroppo con il camper service fuori uso, ma con una vista impagabile!
E tutto intorno al parcheggio un tripudio di bucaneve 😃
Il ricordo lasciato da qualche anima gentile…
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Recoaro Terme, la tristezza per una cittadina abbandonata

Ci siamo arrivati solo a seguito dell’interesse di mio marito per la storia, trovandosi a Recoaro un bunker molto ben mantenuto che lo incuriosiva da tempo. Lui è un grandissimo appassionato di storia, io l’ho sempre detestata ma delle volte mi adatto, sia mai che impari qualcosa, quindi anche questa volta l’ho seguito di buon grado.

Non ho alcuna intenzione di soffermarmi su quelle che sono reminescenze belliche, sia per il sopra citato odio per la storia, sia e soprattutto per la mia repulsione verso tutto ciò che ci riporta ad episodi di violenza, tuttavia se siete di passaggio vale la pena apprendere almeno un’infarinata di ciò che è accaduto in queste zone nel corso del secondo conflitto bellico e del motivo per il quale è stata scelta questa località per costruirvi un bunker.

A metà di settembre 1944 Recoaro Terme divenne sede del Gruppo d’Armate C tedesche in Italia guidate dal feldmaresciallo Albert Kesselring, sia per motivi logistici (facilità di fuga verso la Germania, abbondanza di strutture alberghiere, luogo non cruciale per interessi bellici e quindi teoricamente non interessante per eventuali attacchi), sia per la necessità di Kesselring di poter usufruire di cure termali.
Ad oggi il bunker è mantenuto molto bene grazie al volontariato e costituisce una visita gradevole, nonostante l’abbigliamento un po’ teatrale degli addetti, acconciati con abiti replica rispetto agli originali dell’epoca; l’accesso è gratuito e si basa esclusivamente su donazioni volontarie.

Tanto curata appare questa visita quanto in condizioni disastrose si trova la cittadina, luogo a mio avviso di grandi potenzialità ma abbandonato a se stesso, con tutti i centri termali chiusi, vecchi alberghi barricati e fatiscenti e case disabitate da innumerevoli anni, dalle insegne sbiadite e i ballatoi arrugginiti.

Mi è davvero dispiaciuto vederla così, ferma al lustro appannato di cinquant’anni fa, almeno a giudicare dallo stile edilizio, nonostante la potenziale ricchezza data dall’acqua termale e dallo stabilimento dell’acqua minerale che, con un po’ di investimento, potrebbe divenire davvero un piccolo impero, eppure ho notato una trascuratezza davvero desolante, non so nemmeno se imputabile ad una amministrazione comunale poco interessata in quanto si tratta di un degrado evidentemente di lunga data.

Nonostante tutto gli aperitivi del bar Divine sono spettacolari!

Vi lascio un paio di scatti del bunker e ci rimettiamo in viaggio per la prossima tappa.

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Gironzolando in Veneto: Follina

Il piazzale antistante la chiesa in un momento intriso di poesia tra il cessare della pioggia e il sole in controluce

Dopo la bellissima visita al mulino che vi ho descritto nel precedente post abbiamo fatto ancora qualche chilometro per raggiungere Follina, considerata uno dei più bei borghi d’Italia e sede di un bellissimo complesso abbaziale.

Santa Maria di Follina – Abbazia Cistercense (sec. XII – XIII)

Il primo insediamento monastico fu quello benedettino, risalente a prima dell’anno 1000, successivamente sostituito dall’Ordine cistercense nel 1146, ma solo a seguito della donazione attuata da Sofia di Camino nel 1170 il monastero follinese iniziò ad ampliarsi sino ad arrivare alle dimensioni attuali, tanto da essere considerato tra i più insigni e meglio conservati a livello nazionale.

L’attuale chiesa trecentesca, in stile romanico gotico, fu preceduta da una badia benedettina e da un’altra chiesta cistercense del XIII secolo, infatti non tradisce la regola cistercense che fa sì di essere orientata con la facciata a ponente e l’abside a levante.

Non mi dilungo in descrizioni architettoniche nonostante la mia passione per tutto ciò che è arte, tuttavia degni di nota sono l’ancona in legno dorato posta sull’altare maggiore, imitazione di quella sita a Venezia in S. Zaccaria, nonché lo splendido chiostro romanico, luogo di pace e serenità, decorato da una serie di colonne, diverse tra di loro, nonché ricche di movimento grazie alla diversità di capitelli che le sovrasta, fregiati da mascheroni, civette, galli, pale e croci greche.

Lo sviluppo del borgo è collegato anche alla presenza del lanificio, oggi dismesso e sede degli uffici comunali, tant’è che i monaci si dedicarono con zelo agli impianti dei pannilana e alla bonifica della zona di origine lacustre.

Ancora oggi il palazzo è circondato dalle acque provenienti dalla sorgente di S. Scolastica che confluiscono a formare il fiume Follina; la tradizione vuole che fossero stati proprio i monaci benedettini, nel XII secolo, ad intitolare la fonte a Santa Scolastica, sorella di San Benedetto, fondatore dell’ordine, sostituendola quindi al nome di una divinità pagana.

Il vecchio lanificio
Il vecchio lanificio
La sorgente

La visita dura meno mezza giornata anche se fatta con tutta la calma possibile, alla fine si tratta di un piccolo borgo, ma sono del parere che anche queste piccole vacanze possano farci conoscere alcuni angoli del nostro paese, piccoli gioielli che pochi si prendono la briga di esplorare ma che ci permettono di conoscere meglio la storia e l’arte del territorio che ci circonda.

Ora ci dirigiamo verso Recoaro, che da quanto ho capito non sembra offrire molto, tuttavia c’è una tappa storica che interessa a mio marito e che quindi non possiamo assolutamente perdere. A domani!

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Refrontolo e il Molinetto della Croda

Già il viale d’ingresso preannuncia la cura per i particolari

Tra mille ricette ancora in archivio e pronte per la pubblicazione sono di nuovo in giro con Luca, Bubu e Margot sul nostro fedele Chewbecca a scoprire le bellezze del nostro paese. Siamo riusciti a scavare qualche giorno libero dal lavoro decisi ed investire questo breve periodo nella scoperta dei territori più vicini alla nostra regione, scegliendo ovviamente il Veneto (“ovviamente “ perché le alternative sono tutte da espatrio vista la collocazione della regione in cui vivo).

La ruota del mulino

Venerdì mattina carichiamo due borse di spesa e uno zaino a testa e saliamo sul camper: destinazione Refrontolo! Mai sentito vero? Nemmeno io ad essere onesta, ma mio marito riesce a scovare dei buchi incredibili che nemmeno Google Maps…

La macina

Dire bello è riduttivo, si tratta di una piccola chicca incastonata nella valle del Lierza, un angolo estremamente suggestivo della Marca Trevigiana, tra immense distese di vitigni che ogni anno regalano le più deliziose bottiglie di Prosecco e di Marzemino. Si tratta di un bellissimo esempio di architettura rurale del XVII secolo che ha subito una serie di periodiche fasi di costruzione: le fondazioni della primitiva costruzione poggiavano sulla nuda roccia, da qui il termine “croda”, poi in seguito vi furono degli ampliamenti che consentirono di ricavare i locali idonei a fornire una decorosa dimora alle famiglie dei mugnai che si sono avvicendati nel corso degli anni. L’ultima farina venne macinata nell’anno 1953, per venire successivamente abbandonato ed acquistato dal Comune di Refrontolo solo nel 1991, che ne ha curato un ammirevole restauro ridando lustro agli ambienti abitativi come della macina, oggi nuovamente funzionante per la produzione della cosiddetta “biava” (la farina di mais).

La croda, parte pietrosa negli anni utilizzata per la conservazione delle botti di vino

Vi lascio una carrellata di scatti: se doveste passare da queste parti non rinunciate a visitare questo gioiello, basta una mezz’oretta per visitarne ogni parte e poi sarete liberi di rilassarvi con un bel calice di vino del Valdobbiadene!

Salendo al piano superiore
La camera da letto sfruttava il calore degli animali ospitati nella stalla sottostante mentre il tetto permetteva un costante sgocciolamento di acqua piovana

A domani per un’altra tappa di questo breve viaggio che, inaspettatamente, si sta rivelando un concentrato di piccole bellezze inesplorate.

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Offagna, ancora un po’ di bellezza prima del ritorno a casa…

Siamo arrivati all’ultimo giorno di questa breve vacanza, ancora poche ore a disposizione per godere della bellezza di questi luoghi incantevoli, ma finalmente il tempo ci grazia regalandoci un sole meraviglioso ed un cielo terso e spazzato dal vento.

In pochi minuti da Osimo raggiungiamo Offagna, piccolo borgo arroccato sulla sommità di un colle e iscritto al club “I borghi più belli d’Italia”: si tratta di un paese in merito al quale non ho rinvenuto molte notizie storiche, se non che sotto la giurisdizione anconetana questo borgo divenne uno dei castelli di Ancona (che erano pressappoco una ventina), pertanto tra il 1454 e il 1456 venne eretta l’attuale rocca avente la funzione di difendere il confine del fiume Aspio.

Ed è stata proprio la rocca ad attirare la nostra curiosità, perfettamente conservata ed ospitante un museo ricco di armi, armature ed oggettistica risalente a varie epoche, anche se personalmente sono stata attratta precipuamente dalla sezione dedicata all’oggettistica domestica.

La rocca si visita molto bene grazie ad un Ipod dato in dotazione che permette una maggiore comprensione del tutto in totale leggerezza e senza troppe nozioni teoriche che appesantirebbero l’ascolto, inoltre la visita è stata fatta anche insieme alle nostre cagnoline evitandoci di doverla fare a turno come spesso capita.

Dalla sommità del mastio si apre una vista che riempie lo sguardo di bellezza e il cuore di pace… la condivido con voi, abbiatene cura!

Prima di ripartire ed imboccare l’autostrada che ci porterà a casa visitiamo ancora qualche chiesa del borgo: voglio farvene conoscere una, la chiesa di S.Lucia, piccolissima e ricca di decorazioni policrome, una chicca che mi lascia nel cuore l’ultimo sprazzo di bellezza!

Chiesa di S.Lucia

Quest’ultima tappa l’ho vissuta in tutta leggerezza, senza troppe nozioni a sostegno di quanto visitato, ma solo per il piacere di passeggiare sotto il sole in un borgo bellissimo ed è con questo spirito che la condivido con voi: godetevi gli scatti e rilassatevi… magari traendone spunto casomai capitaste da quelle parti.

Questo post esce che sono già rincasata, ma ieri mi sono fatta Ancona – Trieste tutta una tirata e sinceramente sono arrivata stanchina… ci vediamo alla prossima volta, pronti con lo zaino sulle spalle!

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Osimo, una città sottosopra

Una delle porte della città
Particolare della porta

Vi ho lasciati ieri sera che eravamo appena arrivati all’area sosta camper di Osimo, tra l’altro completa di tutto e totalmente gratuita, vi ritrovo stamani pronta e piena di voglia di scoprire Osimo, finora citata solo sui libri di scuola in occasione del triste trattato che ha demolito le terre circostanti la mia città creando tanto dissenso e tanto odio tra la gente “al di qua e al di là della frontiera”.

Iniziamo con una ripida salita che ci accompagna sino al modernissimo “tiramisù”, l’ascensore che ci accompagna nel cuore del centro storico racchiuso tra le secolari mura di tufo e da lì iniziamo a scoprire questa città, molto dog friendly oltretutto (potevano mancare le codine del mio cuore?), che si snoda tra saliscendi continui di arenaria, dove nemmeno una piazza è completamente in piano. Fondamentalmente è un centro da vivere, da passeggiarci con il naso all’insù ad ammirare i palazzi, le chiese, senza aspettarsi visite turistiche impegnative come quelle che abbiamo affrontato ieri a Recanati… qui è tutto da vedere, da osservare camminando, un’occhiata alla storia che circonda il passante e un’altra alla guida turistica per carpirne almeno un po’ di storia.

Angoli ocra di tufo tra mille stradine

Notevole il Santuario di San Giuseppe da Copertino, recante nei sotterranei il corpo del santo patrono nonché un piccolo museo molto curato, senza per questo tralasciare Palazzo Campana, già sede di un nobile collegio, o il Palazzo Comunale oppure il Duomo, ovviamente, ampio e molto curato, impreziosito da alcune cappelline laterali coloratissime ed incantevoli.

Il Duomo di San Leopardo
Cappelle laterali ricche di colore
La cripta
Non solo vicoli ma anche tanto respiro su una zona verde e bellissima

Prima però di uscire dalle possenti mura per incontrare la Fonte Magna va assolutamente considerata una visita ai sotterranei, costituiti da una rete di cunicoli e grotte scavati nel tufo, una sorta di labirinto parallelo al mondo di superficie che videro utilizzati i propri vani in molteplici maniere, da quelle più legate alle funzioni di culto a quelle pratiche di magazzinaggio sino a quelle di rifugio antiaereo nel corso del periodo bellico. Molte di queste gallerie (pressapoco trecento metri su dodici chilometri) sono attualmente visitabili, pur se presentanti muri divisori in quanto molte di esse sono collegate a svariate abitazioni, costituendo, nella rappresentazione della cittadina, una sorta di mondo alternativo sottosopra e quasi un ossimoro rispetto alla modernità che ci accolti nel raggiungere il centro storico.

Immergendosi nei sotterranei
Tra mille pozzi infiniti ed inquietanti
Immagini votive incise nel tufo
E ancora un labirinto di gallerie

Questa giornata si chiude nell’attesa dell’ascensore che ci riporterà all’area di sosta, mentre con un po’ di malinconia osservo la città più moderna sotto di noi e noto la moltitudine di ragazzi che, allo scendere della sera, stanno raggiungendo i localini del centro per trascorrervi il sabato sera mentre noi, oramai stanchissimi, rientriamo alla base (ma con tanta voglia di fare serata).

Scendiamo o facciamo serata? 🤣

A domani per l’ultima breve visita prima del rientro a Trieste!

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