Primavera, tempo di gite, di weekend lunghi, di tempo trascorso all’aria aperta, anche se a discapito degli esperimenti in cucina che ultimamente latitano, ma amo scrivere di tutto e non solo di fornelli ed impiattamenti.
Dopo un post dedicato a dei borghi un po’ di nicchia, questa è stata la volta di una città metropolitana, di un centro da visitare ma, soprattutto, da vivere: Milano. Sempre a bordo di Chewbecca, il nostro fidato camper, la nostra casetta viaggiante che ogni volta ci regala dei momenti stupendi (e anche le consuete arrabbiature con il frigorifero che parte solo dopo aver preso qualche provvidenziale buca sull’asfalto).
Siamo partiti da Trieste nel primo pomeriggio, dopo aver programmato il tutto nei giorni precedenti, con un fascicolo di fogli stampati (da varie pagine trovate grazie a Google, siamo alla buona noi 🙂 ) in tasca: tutto organizzato o quasi, area di sosta prenotata, visita al Duomo no (mannaggia al pescetto, avremmo risparmiato una fila da paura sotto il sole cocente), con grande rammarico nessuna prenotazione per il Cenacolo, già esaurito per tutto il 2018. Prima di cena eravamo a destinazione, io, marito, figlio (stavolta è venuto con noi dopo due giorni di liti furiose) e le due cagnoline: il tempo di apprezzare l’area di sosta, fornita di docce (quasi) calde, wifi (volante), camper service, meccanico (grazie al cielo perché siamo arrivati sgocciolando gasolio) e tanta cortesia (e meno male visto il prezzo non proprio economico)!
Il programma era il seguente: primo giorno turisti per caso o a malapena organizzati, secondo giorno shopping a go-go per calmare l’adolescente che lungo tutto il tragitto di andata è riuscito a scardinare i nervi anche ai cani e che già a casa per protesta voleva partire in pigiama dichiarando di volersi affiliare all’Isis per far saltare in aria il camper.
Il programma effettivo è stato questo: sveglia ad un’ora decente vista la distanza che ci separa dal centro, dubbi amletici sulle condizioni meteo e conseguente organizzazione, purtroppo lasciamo le cagnoline in camper vista la problematica della visita al Duomo, e via tra navette, treni e metro… finalmente siamo in centro e stendo un velo pietoso sul delirio per visitare il Duomo!
L’emozione è stata enorme, lo sognavo da quand’ero bambina e a Milano non c’ero mai stata: so solo che uscire dalla stazione della metro e trovarmi il Duomo alle spalle e la galleria Vittorio Emanuele al mio fianco… beh, sono rimasta a bocca aperta! E’ valsa la pena l’attesa, il caldo, il casino sulle terrazze della chiesa, il marito che rompeva ed era nervoso perché odia le file (è austrungarico lui!).
Io ero felice: la fila me la faccio, tanto sono in vacanza e non ho fretta, se mi arrabbio la fila rimane, non posso passare sulla folla con un trattore quindi tanto vale rilassarsi e godersi il panorama sulla piazza, no? Pertanto l’ho mandato a quel paese e l’ho fatto tacere!
Trovarmi a passeggiare tra le guglie gotiche svettanti verso un cielo azzurrissimo (bestia che caldo, era da ustione) è stato da brividi, guardare giù e vedere i gargoyle sotto di me… beh, robe che nemmeno il Gobbo di Notre Dame! Semplicemente bello, bello, bello!
Per non far mancare il nervoso al marito (sempre più austroungarico) abbiamo rifatto la fila per scendere all’interno del Duomo, sotto un sole sempre più cocente (alla faccia delle previsioni di grandinate intense), ampiamente ripagata dal brivido finale nel trovarsi tra i colonnati maestosi e inondati dai canti gregoriani che si spandevano nell’aria: una magia che è riuscita a calmare anche i bollenti spiriti del marito (finalmente un po’ meno austroungarico)!
Terminata la complessa visita alle terrazze, al Duomo e all’area archeologica che permette di comprendere l’evoluzione dell’area nel corso dei secoli, previa tappa al McDonald di piazza Duomo (altra fila per l’ordinazione più una per il ritiro e l’altra per i bagni, ndr), ci siamo diretti al Castello Sforzesco, dove l’adolescente ed io siamo stramazzati al suolo sull’erba del prato del cortile interno mentre l’austroungarico cercava febbrilmente altre file da fare per sostenere la propria tesi di città incasinata.
A sera ce l’abbiamo fatta a rientrare, di nuovo tra metro, treno e bus, più morti che vivi, e ancora con l’incubo delle cagnette da portare a spasso e che l’indomani ci avrebbero odiati pentendosi di non essere rimaste nuovamente in camper a dormire!
Abbiamo ripreso il nostro peregrinare il giorno seguente, con le cagnette al seguito, iniziando (dopo la consueta trafila di treni, metro eccetera) con i Navigli e l’adolescente incazzato (non vedo i negozi che mi avete promesso!), per arrivare finalmente con calma a farci spennare lo stipendio dal minore, seppur con indulgenza considerato che in quanto a negozi Trieste può concorrere con il terzo mondo.
Ecco, voglio soffermarmi proprio qui, ai Navigli, forse l’unica nota “di nicchia” di queste due giornate a fare file: nati già all’epoca dei Romani per non isolare l’antica Mediolanum e renderla indipendente grazie al flusso d’acqua garantita da canali navigabili che di fatto la collegavano ai laghi circostanti e, nel progetto ingegneristico dell’epoca, al mare; opera che venne successivamente ripresa e perfezionata anche da Leonardo da Vinci e che oggi allieta una zona rivalutata e ospitante dei meravigliosi angoli verdi e molti locali intimi e deliziosi.
Il resto ve lo cercate su Google, vero? Non voglio fare la guida turistica e pedante che sennò non mi rileggo nemmeno io, ma solo condividere con voi gioie e dolori di una città da vivere con cagnette ed adolescente incazzato al seguito.