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Ultimi scorci di Barcellona

La migliore sangria mai bevuta!

Nei post precedenti abbiamo visitato le maggiori attrazioni di Barcellona, tuttavia ci tenevo a concludere spaziando su altri angolini meritevoli di visita o almeno di un’occhiata, magari più lontani dalle consuete rotte turistiche e dai classici “tre giorni di vacanza”.

La fortezza sulla collina
E il panorama

Una visita in totale relax (o quasi, vista la penosa scalinata che ho dovuto affrontare sotto un calore devastante) e che merita per la magnifica vista del mare iberico è la salita a Montjuic, da farsi in funicolare, con la relativa salita al castello; si tratta di una collina di 192 metri che prende il proprio nome dal catalano Mont dels Jueus, che significa “monte degli ebrei”, il cui toponimo probabilmente risiede nella presenza di un cimitero ebraico sul monte. La collina ha sempre rivestito una posizione strategica grazie alla vista sul Mediterraneo e sul fiume Llobregat, tant’è che vi sorge il castello omonimo, una vera e propria fortezza dalla quale ammirare un panorama spettacolare sul mare.

Il museo del Football Club
Gli interni futuristici del museo

Per gli amanti dello sport (non è il mio caso ma ho dovuto abbozzare) merita una visita il Museo del Barcelona Football, altamente tecnologico e realizzato con grande cura; purtroppo la visita allo stadio è interdetta a causa di lavori di rifacimento.

Il bacio…
… e le tessere che lo compongono

Il murales del bacio, un mosaico stupendo realizzato da quattromila piccole tessere raffiguranti scene di diversa tipologia ma che, unite tra di loro, vanno a formare questa meraviglia intitolata “El mundo nace en cada beso” (Il mondo nasce in ogni bacio), altro 3,8 metri e largo 8 metri, opera dell’autore catalano Joan Fontcuberta. Lo potete trovare in Plaça d’Isidre Nonell, oltretutto accanto ad un ristorantino etnico delizioso! Esso è stato realizzato nel 2014 in occasione della Trecentesima Giornata della Catalogna, ricorrenza che annualmente ricorda l’11 settembre 1714, giornata in cui la Catalogna è uscita sconfitta dalla guerra di secessione spagnola, infatti le tessere con cui è stato realizzato vennero inviate dai lettori di El Periòdico de Catalunya, scelte tra le immagini rappresentative di momenti di libertà.

Le colonne del Tempio di Augusto

In una città così creativa e moderna si possono rinvenire anche alcuni onnipresenti resti romani, tra cui le colonne del Tempio di Augusto, sistemate in maniera molto originale in un cortile di un edificio medievale al numero 10 del Carrer Paradis: il tempio di Augusto si stima risalente alla fine del I secolo a.C. e le tre colonne in argomento sono le uniche conservate integralmente, mentre una quarta è stata ricostruita ed esposta in Plaça del Rei.

Il Palazzo della Musica Catalana, non è una meraviglia?

Il Palau de la Musica Catalana vale una visita, almeno all’esterno, perchè è un capolavoro: si tratta di una delle sale da concerto più belle al mondo, il palazzo è stato progettato da Lluìs Domènech i Montaner, uno degli architetti di punta del modernismo catalano; la costruzione iniziò nel 1905 e vide il completamento tre anni dopo, mentre nel 1997 il palazzo venne dichiarato Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Ma quanto bello è?
Lasciamo perdere i prezzi di questo stand… da brivido!

La Boqueria, il mercato più famoso della città, è un tripudio di colori, frequentatissimo anche grazie alla posizione strategica sulla Rambla, ospita numerose attività commerciali: si tratta di un mercato antico, risalente ad una attività saltuaria di vendita di carne e pesce nel corso del 1200, ma solo nel 1840 venne inaugurato così come lo vediamo oggi. Vale una visita, assolutamente, con un occhio di attenzione verso i prezzi, alcuni davvero proibitivi! Perfetto per l’acquisto di una cena calda al volo a base di tapas e prodotti similari, ma non per farci la spesa se non volete lasciarci lo stipendio!

La colazione a Barceloneta

L’ultima tappa, già con lo zaino sulle spalle, l’abbiamo fatta a Barceloneta, in riva al mare dopo un’ottima colazione a base di churros (lasciamo perdere i prezzi elevatissimi ma la qualità era indiscutibile), seduti ad ammirare le onde che accarezzavano la spiaggia, godendo della brezza marina e riprendendo fiato dopo queste giornate intense e faticose! Abbiamo goduto di una città giovane, stupenda, colorata e piena di vita, tra paella e tanta sangria (sì, abbiamo bevuto anche altro, ma la sangria era divina, specie quella bevuta in un localino all’aperto nei pressi di Plaça Catalunya, una tripudio di frutta in un vino ghiacciato ottimo e aromatico), una città da visitare assolutamente, da vivere appieno, perfetta per chi ama l’arte, per chi ama la vitalità, per chi ama lo shopping (non manca nemmeno un brand, c’è tutto), per chi ama la vita!

Anche solo camminare con il naso all’insù è uno spettacolo
La Monumental, arena di tauromachia, casualmente incontrata lungo la strada per lo stadio
Arte, storia ed architettura/ Viaggi

La Sagrada Familia

Un particolare della facciata

Terza tappa di questo viaggio improvvisato a Barcellona e finalmente ho raggiunto il mio grande sogno: trovarmi davanti alla Sagrada Familia, da sempre ammirata solo in fotografia. Si tratta della meraviglia architettonica, pur se incompiuta (e tutt’ora lo è, nonostante si stimi il termine nel giro di pochi anni), di Gaudì… imponente, meravigliosa, un tripudio di creatività, di linee sinuose, di allegorie della natura e di giochi di luce.

Non c’è un elemento decorativo uguale all’altro
Vi ricorda l’ingresso di una grotta?

Il nome completo della basilica è Tempio Expiatorio de la Sagrada Familia, basilica minore di culto cattolico i cui lavori iniziarono nel 1882 sotto il regno di Alfonso XII di Spagna, inizialmente in stile neogotico che però, a seguito del subentro di Gaudì quale progettista, nel 1883, virò immediatamente sul liberty, arricchendo quindi ulteriormente la storia travagliata dell’edificio, sulla quale non mi soffermo in quanto quella che vorrei trasmettere è esclusivamente un’idea sull’estetica. Il progetto di Gaudì evolve, come già detto, da uno stile neogotico ad uno naturalista, tant’è che alcune delle fonti di ispirazione furono la grotta di Collbatò e la montagna di Montserrat, ciò in quanto egli riteneva che lo stile neogotico fosse imperfetto proprio in quanto non rispettoso delle linee naturali, essendo strettamente rappresentato da forme rettilinee, da pilastri e da contrafforti, contrariamente alle forme geometriche rigate aderenti alla natura. Gaudì osservò che in natura erano presenti innumerevoli esempi di direttrici, quali i giunchi, le ossa dello scheletro, tutti esempi funzionali ed estetici che egli riportò in architettura adattando quindi le forme naturali a quelle strutturali; ne è l’esempio (bellissimo, a mio parere) la forma elicoidale assimilata al movimento e l’uso dell’iperbole assimilata alla luce.

E qui inizia una carrellata fantastica di decorazioni variopinte!
Che sia frutta?
O fiori?
Sembrano quasi elementi minerali…
Mosaici ovunque (Gaudì cercò sempre di decorare anche usufruendo di materiale di scarto)
Ma quanto bello è questo pinnacolo?
Nonostante le impalcature è uno spettacolo

Nel corso del tempo l’opera subì molte interruzioni, principalmente a causa della scarsità di risorse economiche, tuttavia queste contribuirono a concedere del tempo libero a Gaudì per la ricerca di nuove soluzioni strutturali, sfruttandone anche alcune già adottate in altre opere precedenti, quali gli archi catenari, le gallerie e i viadotti, mentre le torri della Sagrada hanno tratto ispirazione dal progetto, irrealizzato, delle Missioni Cattoliche Francescane di Tangeri.

Sua maestà la Luce
Gli interni: senza parole!

Ma veniamo all’interno, strutturato sul modello di un bosco, con colonne a forma di alberi, aperti in rami a sostegno di volte intrecciate, le cui colonne a loro volta sono inclinate in maniera tale da fornire il miglior sostegno possibile alla struttura sovrastante, evitando quindi anche l’uso di contrafforti esterni. Questa è solo una breve descrizione per meglio comprendere ciò che stiamo visitando, ovviamente è possibile rinvenire delle descrizioni molto più accurate della mia e sicuramente più tecniche, in quanto quello che desidero trasmettere è l’emozione di trovarsi dinanzi ad un’opera così maestosa e totalmente priva della severità che normalmente contraddistingue degli edifici di tale portata. Spero di riuscire nell’intento condividendo qualche scatto che possa portare a vedere ciò che vi ho visto io…

L’ingrandimento non rende, ma si tratta di immagini sacre estremamente stilizzate
Questa dedicata a San Luca
Qui c’è l’esplosione della bellezza e della creatività
La fantasia decorativa che si interseca con la luce

Mi accompagnerete ancora un po’ in giro per questa città meravigliosa, in occasione del prossimo post, ma nel mentre godetevi questo spettacolo unico al mondo!

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Casa Battlò e La Pedrera

Il mare, l’elemento propulsore del genio di Gaudì

Secondo giorno a Barcellona, oggi molto più leggero a confronto della giornata di ieri, trascorsa integralmente con lo zaino sulle spalle dovendo trasferirci da un alloggio ad un altro in quanto per il primo pernottamento abbiamo avuto qualche difficoltà. Il primo appuntamento della giornata è per la visita di Casa Battlò che, a posteriori, posso dire essere stata l’esperienza più bella in assoluto di questi pochi giorni a Barcellona; infatti trattasi di un edificio che Gaudì progettò completamente ad immagine del Mediterraneo, anch’esso facente parte del patrimonio UNESCO dal 2005.

Casa Battlò
Gli interni al primo piano
Il soffitto la cui struttura segue le linee di una conchiglia

In origine l’edificio altro non era che un modesto palazzo la cui ristrutturazione venne affidata a Gaudì da un altolocato industriale tessile, Battlò per l’appunto, nel 1904; tale incarico costituì una sfida non di poco conto per l’architetto, vista la forma stretta ed allungata dell’edificio, tuttavia Gaudì, nel 1907, presentò un’opera incredibile, stravolgendo completamente le fattezze originali dello stesso. La facciata principale subì delle modifiche rivoluzionarie, il cortile centrale venne ampliato ed addirittura l’altezza subì una variazione grazie all’aggiunta di due piani.

Il sistema di aerazione, costituito da lamelle lignee mobili
Salendo lungo la scalinata
Da un piano all’altro la luce aumenta grazie alla vetrata posta sulla sommità, tant’è che sembra di nuotare verso la superficie del mare
Osservando oltre la vetrata del parapetto la sensazione è di vedere il mondo oltre l’acqua del mare
Incredible, eh?

Nella realizzazione di Casa Battlò, a mio avviso, Gaudì dimostrò di aver raggiunto la massima maturità stilistica, la sua personale visione del sistema edilizio, fondendo le linee caratteristiche che lo hanno sempre contraddistinto con l’esigenza di funzionalità dimostrata dalla presenza di ottimi ed innovativi sistemi di aerazione. La facciata anteriore è scolpita in pietra arenaria di Montjuic, sostenuta da possenti colonne a zampa di elefante alla base del complesso, aggettanti in maniera tale da amplificare lo spazio visivo dello stesso, mentre il resto della facciata è movimentata da un ritmo ondulato come le onde del mare e totalmente avulso da qualsiasi regola della linea retta, quindi sempre in perfetta armonia con le linee morbide e vibranti del mondo naturale. Il rivestimento ceramico dell’edificio conferisce lucentezza, magia, sogno, grazie al riverbero della luce regalato dalle manifatture prodotte a Palma de Maiorca, grazie agli effetti cangianti che ho osservato sotto il sole già alto della tarda mattinata. Ma lo spettacolo più bello l’ho avuto salendo le scale quando, al di là di quello che può sembrare la semplice recinzione di un ballatoio, abbassandosi e guardandovi attraverso, regala la sensazione di trovarsi sott’acqua, nel blu del Mediterraneo, e di osservare il mondo al di là del suo naturale movimento … incredibile quanto la sensazione sia realistica e quanto genio vi sia stato dietro questa intuizione. I balconi seguono il moto curvilineo che permea l’intero edificio, assumendo quasi la forma di ossa umane (da qui il nomignolo de “la casa de los huesos”), ma il botto finale lo si ha salendo sul tetto, dove ammiriamo i comignoli color verde erba, una torretta su cui svettano gli anagrammi di Gesù, Giuseppe e Maria, il pennacchio con la croce rappresentante i punti cardinali ed innumerevoli strutture che vi illustro meglio negli scatti a seguire.

Il tetto, un concentrato di pinnacoli colorati tale da regalare la sensazione di passeggiare all’interno di un mondo fatato

Il pomeriggio è stata la volta de La Pedrera, o Casa Milà, a mio avviso la meno interessante delle tre, almeno dal punto di vista visivo, costruita da Gaudì tra il 1906 e il 1913 su incarico di Roser Segimon e Pere Milà; la costruzione subì innumerevoli ritardi, soprattutto a causa delle ingerenze dell’amministrazione comunale in merito alle linee non proprio tradizionaliste dell’edificio, tuttavia risolte brillantemente. Nonostante ciò vi fu un terzo inconveniente che portò Gaudì vicino al punto di desistere dal terminare l’edificio e, nonostante lo avesse poi portato a compimento, egli lo considerò sempre un’opera incompleta in quanto consacrato alla simbologia religiosa, particolare che, in conseguenza dei moti anticlericali del periodo, ben si comprende come possano aver tolto l’entusiasmo all’artefice dell’opera. Anch’essa fa parte del Patrimonio UNESCO dal 1984 ma posso dire, per quanto mi riguarda, che la passione che contraddistingue le altre opere di Gaudì qui manca completamente.

Qui le linee sinuose e curve si fondono con un maggior rigore
Ma il tetto riserva sempre delle sorprese, nonostante i colori più tenui e caldi

La facciata è rocciosa, ondulata, dà l’idea della forza erosiva della natura ed è proprio per questo che è conosciuta come “La Pedrera”, ossia la cava di pietra, grazie anche alla presenza delle finestre simili a grotte, a varchi naturali, simili ai massicci della Catalogna, cui l’autore era molto legato, dando origine ad una sorta di mondo fossile. Anche qui il tetto regala la maggiore peculiarità di tutto il complesso, rappresentando uno spazio estetico non di poco conto dato dalla presenza di trenta camini, due giri di ventilazione e sei sbocchi delle scale di servizio, elementi necessari ma concepiti quali opere d’arte. Su di essi notiamo l’incisione di un cuore, visibile sul lato verso Reus, città natale di Gaudì, nonchè una lacrima sul lato rivolto verso la Sagrada Familia, forse testimonianza del dispiacere per l’incompiutezza dell’opera maggiore dell’architetto. I toni cromatici sono neutri, quasi cremosi, con pochi tocchi variopinti ed intensi, anche questa una difformità rispetto alla consueta tendenza gaudiana.

Per oggi ci siamo stancati abbastanza, quindi rientriamo al nostro alloggio, che già di suo è abbastanza lontano dal centro anche se facilmente raggiungibile con mezzora di metro, e ci rivediamo per la prossima tappa!

Viaggi

Barcellona: sulle orme di Gaudì, Casa Vicens e Parc Güell

Uscire dall’aeroporto e già l’incanto del tramonto ad illuminare le palme

Siamo rientrati da poco dall’Egitto, ma avendo ancora qualche giorno libero ho insistito per volare di nuovo nonostante la contrarietà del gentile consorte che aspirava a rimettere in moto il camper, il che ha portato ad una discussione abbastanza vivace, sfociata alla fine in un viaggio che fortunatamente ha soddisfatto entrambi.

Ma già l’atterraggio prometteva bene…

Stavolta il decollo è avvenuto dal Marco Polo di Venezia, quindi sempre con il disagio di doversi spostare dalla nostra città, ma la (mia) felicità era a mille: la Spagna era nella mia wish list da anni e finalmente il desiderio si avverava! Quindi partiamo subito con le meraviglie che hanno allietato la nostra visita… so che stavolta siamo alle banalità rispetto a quanto visto in Egitto, ma a me brillavano gli occhi 🙂

Casa Vicens, un tripudio di vegetazione e colori

La prima tappa è stata Casa Vicens, prenotata all’ultimo momento visto che non mi ispirava granchè, ma meno male che ho avuto un ripensamento perchè si tratta di un’architettura davvero splendida; si tratta della prima casa attribuibile a Gaudì, incastonata nella calle Carolines, una viuzza insospettabile in cui improvvisamente incontriamo questo gioiello, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, che ricorda l’arte islamica e mudejar, in cui incontriamo una perfetta fusione di materiali diversi, tra cui pietre, mattoni e ceramica.

Un motivo frequente è dato dalla presenza dei volatili, a dimostrazione della centralità della natura nella visione di Gaudì
Parte del tetto

Essa venne costruita tra il 1883 e il 1885, su di un progetto elaborato da Gaudì tra il 1878 e il 1880, ponendo le basi per alcuni elementi del Modernismo, sorgendo in quello che all’epoca non era il quartiere di Gracia come lo conosciamo oggi, in quanto esso costituiva un comune a se stante; nel progetto originale vi era un grande spazio dedicato al giardino, tuttavia nel tempo il terreno venne suddiviso in lotti destinati alla costruzione di edifici residenziali, tant’è che Gaudì, per sfruttare al meglio lo spazio rimasto, realizzò un progetto composto da tre sole facciate, addossando la quarta facciata al muro di mezzeria di un convento attiguo. Nel 1925 l’edificio godette di un ampliamento realizzato da Joan Baptista Serra, discepolo dell’architetto, il che permise di ottenere la facciata mancante mantenendo lo stile dell’edificio originario. Ad oggi esso rappresenta una traccia della fase orientalista di Gaudì, grazie alla presenza delle ceramiche, degli archi a mitra, dei mattoni a vista e delle estremità a forma di tempietto o cupola.

Nel pomeriggio abbiamo affrontato la seconda visita, sotto un sole cocente da impazzire, ma ne è valsa comunque la pena, vista la bellezza del Parc Güell, magnifico parco di più di 17 ettari ricco di giardini e di elementi architettonici, posto sul Monte Carmelo e progettato da Antoni Gaudì per l’impresario Eusebi Güell, per essere poi inaugurato nel 1926. L’intera superficie si articola su una serie di architetture manipolate in maniera tale da realizzare un armonioso equilibrio con l’ambiente circostante, ambiente che risulta ricco di vegetazione nonostante l’assenza di falde acquifere grazie alla presenza di specie tipiche dell’area mediterranea, quali, a titolo esemplificativo, i pini, le querce, le palme, gli ulivi, i mandorli e molti arbusti aromatici, realizzando quindi un ecosistema che permette la massiccia presenza di volatili, tant’è che lo spazio sovrastante è continuamente attraversato da bellissimi pappagallini variopinti.

Le terrazze del parco
Salendo lungo i sentieri del parco

All’ingresso è visibile la parte più bella del parco, quella in cui sorgono due padiglioni che ricordano le casette delle fiabe, oltre ad una miriade di decorazioni riccamente rivestite da tasselli di ceramica multicolore, tra le quali possiamo ammirare una salamandra, simbolo di prosperità, che ci accompagna ad una sala ipostila che, grazie alla presenza di ottantasei colonne, ci accompagna in un’atmosfera da tempio greco ma che ha lo scopo di sostenere il peso della terrazza sovrastante. Se invece risaliamo lungo il parco possiamo incontrare innumerevoli viadotti che si integrano perfettamente allo spazio circostante, come da sempre nella visuale che Gaudì ha dell’arte, ossia quella della completa fusione con la natura.

Le sedute della terrazza (sul lato posteriore sono presenti anche le canalizzazioni dell’acqua, tutto geniale e riccamente decorato a mosaico).

Dopo questa lunga, ma doverosa descrizione, vi lascio alle foto perchè Gaudì è soprattutto colore, forma, natura.

Le due costruzioni poste all’ingresso…hanno davvero qualcosa di fiabesco!
Una delle costruzioni poste all’ingresso
Il colonnato a sostegno della terrazza sovrastante
Tra i gruppi di colonne sono stati incastonati questi meravigliosi mosaici
La salamandra
La scalinata è circondata da questa struttura che rammenta le lische di pesce
Egitto/ Viaggi

Le piramidi di Giza e la Sfinge

Direste mai che siamo attaccati ad uno dei centri più caotici io abbia mai visto?

Siamo arrivati all’ultimo giorno di questa esperienza sensoriale e culturale incredibile: la piana di Giza, località desertica in stridente contrasto con la caotica città che sorge al suo limitare, tant’è che trovarsi dinanzi alla maestosità dei sepolcri faraonici e vedere di lì a poco i palazzoni della metropoli crea quasi un disagio visivo.

Qui tocchiamo con mano gli insegnamenti scolastici ed avere dinanzi a sè tutta la storia delle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, monumenti funerari perfetti nella loro forma, incredibili se si pensa alla mancanza di tecnologia dell’epoca e al genio che è riuscito a contrastare tale carenza. Quella di Cheope è la maggiore, nonchè quella che abbiamo scelto per la visita al suo interno, quella di Chefrem è di medie dimensioni ed attualmente chiusa per restauro, mentre la più piccola è quella di Micerino, che ho visto solo dall’ingresso grazie alla guida che ha avuto la possibilità di farci affacciare nonostante i blocchi del controllo biglietti, per meglio comprendere la differenza strutturale rispetto alla piramide maggiore.

La salita è impegnativa, non tanto per il passaggio stretto e basso ma per la mancanza d’aria: il primo tratto consta di due passaggi a senso unico ma la parte finale, abbastanza lunga e strettissima, è a doppio senso e molto bassa, non un grande problema per me (sono alta 168) ma per chi supera il metro e ottanta può sicuramente costituire un grosso disagio; il peggio arriva alla fine quando, prostrati dalla fame d’aria e dall’umidità tropicale, si arriva ad un cunicolo da attraversare carponi… ecco, mi sono spaventata, ho avuto una sensazione claustrofobica convinta si trattasse di un tunnel di lunghezza indefinita, invece si tratta solo di due tronconi inframezzati da uno spazio che permette di erigersi in piedi e respirare, per poi arrivare alla camera funeraria, dove grazie alla ventilazione artificiale, il respiro si placa e si finisce di sudare copiosamente. Non sto a darvi spiegazioni architettoniche, per quello c’è Wikipedia, oltre al fatto che in merito alle piramidi si è detto già di tutto, ma solo trasmettervi l’emozione, immensa, di trovarsi al cospetto di tutto ciò, di quanto si è visto solo sui libri di scuola, di poter accarezzare una pietra che sta lì da migliaia di anni, che è stata toccata da operai vissuti all’epoca e che ha visto storia, tempeste di sabbia, sole cocente, civiltà diverse, guerre, ma che è ancora lì. Incredibile solo a pensarci. Il ritorno ovviamente è a ritroso, senza la fatica della salita e con il sorriso di aver visitato una delle più incredibili vestigia antiche al mondo!

L’ingresso non fa sospettare la salita seguente
E qui inizia la mazzata
La camera sepolcrale

Infatti la Grande Piramide, come è anche conosciuta, rappresenta la più antica tra le sette meraviglie del mondo antico, è costituita da almeno 2.300.000 blocchi di pietra per un peso unitario di pressapoco 2,5 tonnellate l’uno, edificata nell’arco di un tempo variabile tra i quindici e i trent’anni ad opera dell’architetto reale Heminiu.

La piramide di Chefren
Una sbirciatina all’interno di quella di Micerino ce la diamo
Tutta in discesa

Dopo la salita alla piramide ci siamo affacciati a quella di Micerino, come sopra detto, il che ci ha permesso di comprendere come questa abbia la camera funeraria posta in basso, a sei metri sotto il suolo, un po’ come le tombe viste nel corso delle tappe precedenti; essa venne eretta partendo da un progetto ben diverso da quanto è stato poi posto in essere, inizialmente progettata in granito rosso di Aswan, poi realizzata in pochissimo tempo con del calcare bianco di Tura a seguito della prematura morte del sovrano. Essa presenta un volume pari a circa un decimo rispetto a quella di Cheope, tuttavia la sua ricchezza è attribuibile alla massiccia presenza del granito, proveniente dalle cave dell’Alto Egitto, estremamente difficile da lavorare e parte del quale venne poi asportato dal pascià Muhammad Alì per la costruzione dell’arsenale di Alessandria.

L’emozione di toccare con mano tutta questa meraviglia

Come già scritto sopra, la piramide di Chefren era chiusa per lavori di restauro, ma anch’essa presenta la camera funeraria al di sotto del terreno, al pari di quella di Micerino, nonostante mi risulta sia rimasta parzialmente incompiuta.

Impressionante vero?

Lasciate le piramidi siamo arrivati alla Sfinge, enorme scultura in pietra calcarea e raffigurante una figura mitologica con la testa umana e il corpo di leone, denominata anche sfinge andricefala, la cui particolarità risiede nel fatto che, pur con la sua lunghezza pari a 73 metri, la sua altezza di 20 metri e la larghezza di 19 metri, risulta essere un complesso monolitico… non aggiungo altro. Incredibile. Si stima, comunque, essa sia stata scolpita da un affioramento roccioso emerso nel corso della costruzione delle piramidi, e che risalga proprio al periodo in cui venne eretta la piramide di Chefren, scolpita proprio a protezione di quest’ultima.

Il volto della felicità 🤩

Con questa ultima grande fatica il nostro sogno termina qui, tuttavia voglio riprendere ancora un discorso iniziato nel post precedente: la condizione femminile.

Si stima che in passato la condizione femminile in Egitto fosse migliore di quella attuale e che le donne fossero più emancipate di oggi, ma quella che ho voluto comprendere è connessa a quanto ho visto io: l’abbigliamento e la preghiera, intrinsecamente connesse. Le donne vestono con il tradizionale abito e il capo coperto in ossequio all’abbigliamento della Vergine Maria, mentre il nero è il colore della fecondità; ovviamente non vi è alcun obbligo, non c’è integralismo, però di donne a capo scoperte non ne ho viste. Ultimamente ne ho lette di ogni genere in merito alle donne isolate nel corso della preghiera, quindi ho chiesto e la risposta è stata la seguente: le donne pregano lontano dagli uomini all’unico scopo di non distrarli… non metto in dubbio la spiegazione, anche se il mio senso critico mi fa sospettare che la figura maschile sia abbastanza frustrata, forse sbaglio perchè vivo in una cultura libera, però comunque ho voluto comprendere visto che ritengo che in ogni paese si possa pretendere un determinato abbigliamento solo in condizioni di reciprocità e, nel mio caso, in Egitto nessuno mi ha imposto alcunchè nonostante la mia disponibilità ad adeguarmi alle regole del paese ospitante.

Due cose mi hanno colpita di questo paese: innanzitutto, lungo le dolci rive del Nilo, la presenza di molti bambini che, seduti su delle tavole da surf di fortuna, agganciavano le barche per guadagnare qualche centesimo intonando una canzone… una tenerezza infinita…

E poi, una cosa che dal primo all’ultimo giorno, mi ha provocato i brividi da tanto mi suonava sinistro e terrificante: il richiamo alla preghiera del muezzin, con quella nenia insistente che, per ben cinque volte al giorno, richiamava i fedeli con potenti altoparlanti, il cui suono proveniva da più parti in una cacofonia da pelle d’oca e che mi sembrava un grido da film dell’orrore (ovviamente, non comprendendo la lingua, per me era solo un suono).

Ora non mi resta che godermi un sonno ristoratore (dopo l’ennesima cena saltata a causa della cucina non proprio adatta la mio stomaco) prima di recarmi all’aeroporto alla volta di Milano… alla prossima!

Egitto/ Viaggi

Vivere Il Cairo, tra papiri e tè alla menta

Il tè di El Fishawy

Oggi vi accompagno lungo le strade del Cairo, attraverso il suo coloratissimo mercato, a visitare un paio di moschee e poi vediamo se ce la facciamo anche ad esplorare Giza, con le sue piramidi e la sfinge.

L’arte araba… una bellezza indescrivibile

Che la città sia terribilmente trafficata già ve lo avevo detto, tuttavia oggi ci apprestiamo a passeggiare lungo le strade, ricche di colori, di botteghe, di persone molto tranquille e, per noi europei, di molteplici curiosità; passeggiamo scattando foto ai palazzi, meravigliosamente intarsiati (l’arte araba è superba) e spesso anche ricchi di finestre con delle grate intricatissime, grazie alle quali è possibile osservare la strada sottostante senza essere notati dall’esterno, per poi incamminarci verso la prima moschea, meravigliosa, ariosa, pulitissima e ricca di luce. Una nota in merito: gli egiziani, pure se di cultura araba e di religione islamica, sono molto aperti verso culture differenti dalla propria e rispettosi delle altrui religioni, come già scritto nel post precedente, tant’è che una volta a contatto con la popolazione mi sono resa conto che tutte le raccomandazioni “culturali” esposte dal tour operator erano assolutamente inutili. Mi erano stati raccomandati i bermuda sotto il ginocchio che, a parte non averne in quanto orrendi 🙂 , non ho mai indossato visto che la guida stessa mi ha chiesto se avessi portato dei pantaloncini comodi e leggeri (e meno male che due paia ne avevo portati, a dispetto delle raccomandazioni!), come del resto, apprestatami a coprirmi il capo per l’ingresso in moschea, mi è stato detto che non avrei dovuto farlo in quanto la mia religione non lo prevede e che quindi non lo avrebbero assolutamente recepito quale offesa nei loro confronti, dato che il rispetto consiste in ben altro (e meno male… ho incontrato persone intelligenti).

Poi però, entro la fine di questo meraviglioso viaggio alla scoperta di un mondo diverso, vi spiegherò anche il perchè dell’abbigliamento femminile, dei colori utilizzati e di alcuni usi che nella nostra cultura sembrano poco civili; ho voluto capire, ho chiesto, perchè non voglio giudicare senza comprendere.

La prima moschea visitata
Il pozzo
Lampadari incantevoli
Finestre che impediscono la visuale dall’esterno
Aria e luce

Di moschee ne abbiamo visitate due, e vi lascio qualche foto, ma la prima (nei pressi di Bab al-Futuh) mi ha lasciata a bocca aperta: sarà anche la mia passione per gli spazi chiari e luminosi, privi di oggetti che possano appesantire l’ambiente, ma l’impatto visivo è meraviglioso, la pulizia estrema (ed ecco il motivo per il quale si entra senza calzature, visto che poi in quegli spazi i fedeli si chinano per la preghiera), la luce si riflette su ogni superficie e il senso di pace è incredibile… del resto mi è stato spiegato che proprio l’assenza di distrazioni visive permette di concentrarsi al meglio durante la preghiera e ciò sicuramente costituisce una palese antitesi rispetto all’architettura delle chiese cristiane, specie quelle cattoliche. Di storia ne son ben poca, solo che Bab al-Futuh (il Cancello della Conquista) è una delle porte fortificate del Cairo medievale, che venne terminata nel 1087, si trova alla fine di al_Mu’izz Street, fa parte del Cairo vecchio e infatti l’abbiamo incontrata nel precedente post, questo per ricollegarmi alla moschea che abbiamo incontrato di lì a poco.

La seconda moschea, più raccolta, è quella di Aqmar, anch’essa assolutamente stupenda, nonostante le dimensioni minori e pulitissima; non ho rinvenuto molte informazioni in merito, ma la facciata è una meraviglia architettonica.

Ancora finestre con grate invalicabili dallo sguardo esterno
Botteghe di shisha ovunque

Poi abbiamo proseguito lungo le strade ricche di botteghe di narghilè e per la prima volta nella mia vita ho assaggiato il succo di canna da zucchero, fresco e dolcissimo, con una nota erbacea gradevolissima, una delle bevande nazionali oltre all’hibiscus (il classico karkadè), da bere freddo, il tè alla menta, che viene servito bollente ma che disseta al di là di ogni previsione, e il caffè turco, che spesso viene servito nei bar e che ho sempre apprezzato in quanto nella mia zona, confine con l’est, è molto conosciuto.

Ed ecco la bevanda più fresca e dolce mai assaggiata

La parte più caratteristica della visita al mercato, ricco di tè e spezie, è stato lo storico caffè El-Fishawy, situato nel cuore del Cairo islamico, che serve un tè favoloso sin da quando Napoleone invase l’Egitto (venne aperto nel 1797, l’anno prima dell’invasione napoleonica), preparato sempre con la menta fresca; il locale iniziò la propria attività servendo caffè turco agli amici del primo proprietario, conosciuto proprio come “el-Fishawy”, che dopo il tramonto si presentavano al bar, poi esso venne ampliato a seguito dell’acquisto degli edifici adiacenti e contestualmente ampliò la propria offerta di bevande. All’inizio del XX secolo esso acquisì fama essendo frequentato da intellettuali e scrittori, soprattutto durante il periodo di Ramadan, tra cui il nobel Naguib Mahfouz e il re Farouk. All’epoca il locale era il quadruplo di quello che è oggi, in quanto dal 1986 le autorità del Cairo hanno ampliato il quartiere intorno a piazza Saddam Hussein, assorbendo quindi una parte del locale, nonostante le ovvie opposizioni da parte del titolare. Gli interni sono incredibilmente belli, arricchiti da mobili realizzati a mano in arabesque con pannelli mashrabiya scuri, da pareti giallo ocra e antichi lampadari in rame; gli specchi sono posti ovunque, ampliando otticamente lo spazio circostante, il profumo di incenso, di legno e di shisha (altro nome che indica il narghilè) alla frutta penetrano ovunque, mischiato all’odore del shai barad, il tè bollito e riscaldato in un bacino di sabbia, metodologia che conferisce alla bevanda il suo sapore particolare e di altissima qualità. Nel mentre sorseggiavo il tè ho colto l’occasione per farmi decorare una mano con l’hennè (salvo poi soffrire di un’allergia per qualche giorno, ma ne è valsa la pena), letteralmente un’opera d’arte realizzata con una semplice sac-a-poche contenente hennè… dalla foto potete chiaramente vedere la maestrìa della ragazza che mi ha realizzato il tatuaggio.

Nel cuore del mercato
Ci fermiamo al El Fishawy per un tè e un tatuaggio con l’hennè
Gli specchi infiniti degli interni
Ancora le delizie più assurde come questo zucchero filato
Tra i cunicoli del mercato

Mi sa che nemmeno in questo post riusciamo a farci un giro a Giza, quindi, come sospettavo, dovrò tediarvi con un’ultima tappa descrittiva, anche perchè vorrei lasciarvi qualche scatto raffigurativo delle fasi di preparazione di una carta da papiro, quindi vi lascio alle immagini e ci vediamo a Giza!

I pezzetti di papiro vengono ammollati per ammorbidirli
Inizia la riduzione della fibra a foglio
Si asciugano
Si pressano
Ed ecco il foglio
Egitto/ Senza categoria/ Viaggi

Il Cairo: Museo Egizio, Quartiere Copto e Fortezza di Babilonia

Il Museo Egizio

Dopo la lettura di qualche libro vi riporto alla penultima tappa in questo paese meraviglioso, tappa che ho vissuto di più grazie ad una guida caratterialmente diversa da quella che ci ha accompagnati lungo il Nilo, quella più tecnica, assolutamente perfetta, questa più spiccia ma che ci ha permesso di vivere la città, di respirarne gli odori, di assaggiare un po’ di vita di strada.

La situazione del traffico (visione ancora ottimistica)

Il Cairo è una città caotica al limite della follia, impossibile attraversare la strada, non esiste alcuna regola nella guida dei veicoli, tra macchine che cambiano corsia in continuazione senza freccia alcuna ma costantemente sul freno e sul clacson, tra i “tuktuk” guidati incoscientemente da ragazzini, tra taxi collettivi che (almeno quelli) sono autorizzati a circolare solo su alcune arterie urbane, nel caos della polvere, della povertà degli edifici diroccati e i bambini nudi che dormono sui marciapiedi, tra cani randagi e desolazione ovunque. Il Cairo va vissuto.

Il museo offre moltissimo e per capire bisogna entrarci ed assaporarlo, ma la vitalità di questo sguardo ha dell’incredibile
La sensazione è quella di essere scrutati da occhi di qualche migliaio di anni
Il dio Anubi, cane sacro faraonico

La prima visita che ci aspetta è sacrosanta: il Museo Egizio, il massimo museo di antichità egiziane nonostante attualmente sia in atto una parziale traslazione verso il Museo di Giza, allo scopo di riunire un po’ alla volta tutta la ricchezza archeologica in un unico sito, ma che ad oggi conta ancora più di 120.000 reperti visibili oltre a quelli ancora conservati nei magazzini. Esso risale al 1858, quando il primo nucleo venne aperto grazie alle collezioni dell’archeologo Auguste Mariette, allo scopo di fermare la selvaggia esportazione dei manufatti. Lo spazio ben presto si rivelò insufficiente e l’inondazione del Nilo avvenuta nel 1878 peggiorò la situazione, tant’è che nel 1891 il museo venne spostato all’interno del palazzo di Isma’il Pascià a Giza, chiamato “Palazzo di Giza”, edificio comunque non idoneo allo scopo, finchè fu bandito un concorso per la realizzazione dell’attuale museo, che sorse ad opera dell’architetto francese Marcel Dourgnon e degli italiani Giuseppe Garozzo e Francesco Zaffrani.

Vasi canopi

Il museo venne inaugurato nel 1902 dando vita ad un magnifico edificio neoclassico, dalle mura rosa salmone, che si erge tra le palme di piazza Tahrir, nel cuore della città, e decorato dagli altorilievi del francese Ferdinand Faivre; esso all’interno presenta due piani ordinati per cronologia e aree tematiche: vi lascio qualche scatto, nulla di più perchè va visitato e non lasciato a mere fotografie dall’aspetto sterile ed insignificante. Se, come me, avete amato il Museo Egizio di Torino, visitatelo e non ve ne pentirete.

Un delizioso (e costosissimo) negozio di spezie che abbiamo visitato lungo la strada
La Fortezza di Babilonia

Al Cairo ci sarebbe molto da visitare, ma purtroppo il tempo che abbiamo non è sufficiente per spaziare su tutto ciò che vorremmo, quindi facciamo una volata al Quartiere Copto, piccolo e stupendo! Esso sorge nella Cairo antica e offre al visitatore, accedendo da una scalinata a scendere, la visita della Chiesa Sospesa e di quella di San Giorgio, che incontriamo passeggiando lungo l’antica via delle botteghe di librai antiquari, pur se attualmente numericamente ridotti. A dire il vero il quartiere è incantevole, un gioiellino pulitissimo che offre innumerevoli mete degne di visita, ma purtroppo il tempo tiratissimo a disposizione ci impone una necessaria limitazione a quanto ho sopra citato.

La porta di ingresso al Cairo vecchio
Bella eh?
Un po’ di storia…
La via degli antichi librai

La Chiesa Sospesa (Al-Kanisa al-Mu’allaqa) rappresenta la chiesa principale della Cairo Copta, è una delle più antiche, situata nella zona meridionale della Cairo Vecchia e il suo nome deriva proprio dalla posizione strategica in cima alla porta meridionale della Fortezza di Babilonia, ma la particolarità che colpisce il visitatore è proprio la sua architettura che mixa perfettamente lo stile copto e quello islamico, tra cupole, campanili e sculture lignee. Si ritiene, inoltre, che essa sorga sul sito di un antico tempio romano, accrescendone quindi l’importanza spirituale; l’interno è bello da togliere il fiato, con il pulpito marmoreo e le pareti divisorie intarsiate nell’avorio (giuro: sono stata lì dieci minuti buoni a bocca spalancata), le vetrate incredibili… tutto è spettacolare! Inoltre l’edificio ospita diversi manufatti, tra cui i resti di un martire cristiano del IV secolo ed una collezione di manoscritti copti.

La Chiesa Sospesa con il giardino antistante
Ma quanto bello è l’ingresso?
Il colonnato del pulpito in cui ogni colonna differisce dall’altra
Gli intarsi in avorio
Reliquie cristiane

Ho citato la posizione della chiesa in relazione alla Fortezza Romana di Babilonia, ma vediamo qualche cenno storico: ovviamente essa rappresenta una testimonianza della potenza dell’Impero Romano, venne costruita nel IV secolo ad opera dell’imperatore Diocleziano a scopo difensivo, posizionata strategicamente all’incrocio delle principali rotte commerciali, con mura alte sino a 12 metri ed estremamente imponente con le due torri, una per ogni angolo, ed una porta centrale, il tutto a proteggere caserme, magazzini ed edifici. Si noti che tuttora la città ospita gruppi religiosi di varia fede e in perfetta convivenza.

Chiesa di San Giorgio
La simbologia cristiana che quasi stride in un paese musulmano
Il muro è intervallato da strati di legno per mantenere la stabilità dello stesso

La Chiesa di San Giorgio è un altro esempio di rara bellezza, unico esempio di chiesa rotonda in città, costruita in cima alla Torre Romana e collegata al Monastero di San Giorgio, e costituisce un noto punto di riferimento cristiano in quanto la Sacra Famiglia passò e risiedette in essa nel corso della fuga in Egitto, grazie alla presenza di un pozzo d’acqua, ancora oggi potabile, sotto la chiesa e che ne permise la sopravvivenza. Essa subì gravi danni a causa di un incendio, tuttavia il restauro del 1904 l’ha riportata al suo splendore e vi garantisco essere magnifica.

Il pozzo della chiesa
Si narra qui trovarono rifugio Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù
Si scende lungo una scala ripida e stretta
Dove dormì il piccolo Gesù
Ancora avorio finemente cesellato

Nell’ultima tappa (sempre che un post sia sufficiente) vi porterò a spasso per le vie del Cairo e ammireremo la piana di Giza, con l’intenzione di condividere anche alcune impressioni in merito a questo incredibile paese… a tra pochi giorni, che poi vi devo raccontare di un altro viaggio la cui narrazione ancora aspetta i miei tempi (lunghissimi)!

Egitto/ Viaggi

Luxor Temple, Karnak Temple e Luxor Museum

Purtroppo non in tutte le foto sono riuscita ad evitare la folla
La tipica barba rappresentante il rango faraonico

Ritorno dopo alcuni giorni a scrivere delle mie scoperte intorno al mondo, con la consapevolezza di non essere riuscita a velocizzare la stesura dei post, ma va bene così… rivivere tutte queste emozioni nel tempo fa bene anche a me.

Il fascino di una visita al tramonto

Oggi vi accompagno in una delle visite che più mi hanno incantata, innanzitutto perchè ha fatto parte della crociera sul Nilo (che mi ha fatta sognare in ogni istante, sarà la mia passione per l’acqua e le imbarcazioni, ma vi assicuro che se avete la possibilità di provarla è una di quelle esperienze che rimangono inchiodate al cuore) ma soprattutto perchè il Tempio di Luxor l’abbiamo visitato al tramonto, con un clima più accettabile ed un’atmosfera suggestiva incredibile.

L’immagine è incredibilmente bella ma ho sofferto per il cavallo 🥲
La consueta barca, simbolo oramai ricorrente
Il viale delle sfingi
Il viale al tramonto

Luxor, all’epoca Tebe, è una delle città più antiche al mondo, trafficatissima, tant’è che dalla nave al tempio siamo stati accompagnati in calesse, nonostante la modesta distanza da percorrere: esperienza particolare ma per me che amo gli animali ha rappresentato un colpo al cuore, comunque vediamo qualche nota storica relativa al tempio. Esso sorge sulla riva orientale del Nilo e si tratta di un immenso complesso templare dedicato ad Amon, tant’è che durante il Nuovo Regno esso fu il fulcro della festa annuale di Opet, durante la quale una statua di Amon veniva trasferita lungo il Nilo dal vicino Grande Tempio di Amon, conosciuto con il nome di Ipet-sut grazie al rito di fertilità.

La sua costruzione iniziò nel corso del regno di Amenothep III durante il XIV secolo a.C., mentre molte colonne e statue sorsero grazie ad Haremhab e Tutankhamun, tuttavia la massima espansione venne conosciuta grazie a Ramses II pressapoco un secolo dopo l’inizio dei lavori; una particolarità risiede nel fatto che il Tempio di Luxor è l’unico tra i complessi templari egiziani ad avere il marchio di soli due sovrani sulle strutture architettoniche. Successivamente alcuni interventi di restauro vennero posti in essere da Alessandro Magno e dall’imperatore Tiberio, per poi registrare l’abbandono del complesso, durante la dominazione araba, fino a quando, nel XIII secolo, vi venne eretta la Moschea di Abu El Haggag, sovrastante il cortile delle colonne e contestuale insediamento, nel complesso, di un villaggio arabo.

Non sto ovviamente a raccontarvi tutto quanto sia possibile visitare al suo interno, tuttavia sono degni di nota l’accesso costituito dal viale delle sfingi, oggi visibili quelle volute da Nectanebo I, che noi abbiamo ammirato al tramonto sapientemente illuminate in maniera magistrale e che ci hanno condotto al grande portale, alto 24 metri, costruito sotto Ramses II. L’ingresso principale originariamente era fiancheggiato da sei statue colossali di Ramses, quattro sedute (delle quali ne sono rimaste due) e due in piedi; inoltre dei due obelischi in granito antistanti il portale se ne vede uno solo, mentre l’altro venne donato alla Francia nel 1830 e tuttora si erige a Parigi in Place de la Concorde. Fu il pascià Mehmet Ali a volerli donare ambedue, tuttavia uno soltanto venne rimosso dal tempio (per fortuna, mi sento di dire!).

Per il resto vi enumero solamente le parti di notevole interesse, che non sto a descrivervi più di tanto in quanto non avrebbe senso inserire tutte le informazioni: il Grande Cortile di Ramses II, il colonnato e il cortile di Amenhotep III, la Cappella del culto tetrarchico, il Naos di Alessandro Magno e il Santuario di Amon.

Il complesso templare di Karnak, che comprende il Grande Tempio di Amon e il Tempio di Luxor, sorge sulla riva destra del Nilo e la sua costruzione procede negli anni di pari passo con la storia egiziana, infatti ad oggi notiamo un sovrapporsi di strutture, sorte in epoche diverse, tanto da non poter individuarne il nucleo originale risalente al Re Sesostri I della XII Dinastia, del quale si conservano solo le soglie dei locali, ubicate nell’area posteriore del santuario della Barca Sacra.

Quanto rimane di un cumulo di sabbia, tecnica usata per raggiungere i livelli più elevati durante la costruzione e motivo per cui i decori partivano sempre dal punto più alto, visto che appena terminata la costruzione si procedeva direttamente al decoro e contestualmente scendendo nuovamente.
Ecco la luce che mi è rimasta nel cuore

Secondo la convenzione egiziana, la perfezione divina era rappresentata da una triade e infatti anche nel complesso di Karnak notiamo la triade costituita da Amon, dalla sua sposa Mut e dal figlio Khonsu. Anche qui per inoltrarci in una descrizione accurata è necessario trovarsi sul posto ed esaminarne una parte alla volta, stante la complessità della materia e, in questo caso, il susseguirsi nel tempo delle opere che vi sono sorte al suo interno. Un particolare è la presenza, presso il lago sacro ad Amon, di Khepri, la statua dello scarabeo sacro in rappresentazione del Sole che sorge.

I colori, bellissimi, ancora intatti…
Il lago sacro
Lo scarabeo, attorniato da un’orda di turisti che vi girano intorno molteplici volte, come da tradizione

Il museo invece è stata una visita improvvisata in quanto incredibilmente ci erano avanzate un paio d’ore libere: specifico ciò in quanto noi non abbiamo mai amato le visite museali, ma alla fine ci siamo fidati della guida e abbiamo godute di un’ottima visita, soprattutto al fresco!

La riva del Nilo, direttamente adiacente il museo

Si tratta di un edificio commissionato nel 1962 dal Ministero della Cultura Egiziana all’architetto Mahmud El Hakim, al fine di riunire i reperti provenienti dall’antica Tebe, inaugurando così, nel 1975, un discreto complesso di cultura storica, artistica ed archeologica di tutto rispetto, soprattutto grazie all’ampliamento risalente al 2004. Il numero dei reperti è certamente inferiore a quelli ospitati dal Museo del Il Cairo, tuttavia si possono ammirare alcuni oggetti rinvenuti nella tomba di Tutankhamon nonchè le mummie reali dei faraoni Ahmose I e Ramesse I, precedentemente ospitate dal Museo de Il Cairo e da quello delle cascate del Niagara; notevole anche la ricostruzione di una delle pareti del Grande Tempio di Aton (Karnak).

La ricostruzione del muro
Vasi canopi

Con questa giornata incredibile si chiude la nostra esperienza a Luxor e anche la nostra navigazione, visto che da lì a poco saremo condotti all’aeroporto di Luxor per volare a Il Cairo, quindi ci vediamo da quelle parti!

E via verso l’aeroporto!

Mi sento però di aggiungere una nota: con questa conclusione si chiude la parentesi più poetica del paese che ci sta ospitando… Il Cairo, lo vedrete, è interessantissimo, ma la dolcezza delle rive del Nilo e dei paesini che vi sorgono sono ammalianti e, se dovessi tornarvi un giorno, sicuramente vorrei poter rivivere tutto questo, nonostante il caldo e il sole impietoso che però, all’alba e al tramonto, regalano una forza ed una poesia che altrove non ho mai trovato.

Egitto/ Viaggi

Valle dei Re, Valle delle Regine, Quartieri Operai, Colossi di Memnon e Hatshepsut Temple

L’accesso alla Valle dei Re

Da giorni ho interrotto la narrazione delle successive tappe storiche che hanno allietato la mia presenza in Egitto, presa da numerosi impegni e da un altro viaggio del quale vi parlerò in seguito, pertanto oggi provo a condensare in un unico post quella che è stata forse la giornata più faticosa tra tutte. So di aver premesso che avrei trattato le visite per oggetto e non per giornata, ma di questo passo non arrivo più alla fine, tante sono state le ricchezze che questo magnifico paese ha offerto alla nostra vista.

La consueta barca
Il simbolismo del serpente e la sua dualità: a protezione dell’edificio se rivolto all’esterno e in attacco se dalla parte opposta.

Iniziamo con la Valle dei Re, famosissimo sito archeologico sito nei pressi dell’antica Tebe, l’attuale Luxor, che per circa cinquecento anni venne scelta quale sede delle sepolture dei sovrani del Nuovo Regno d’Egitto e conosciuta, all’epoca, con il nome di Ta-sekhet-ma’at, ossia “Il Grande Campo”. In essa sono state rinvenute le tombe dei sovrani appartenenti all’epoca sopra descritta, mentre le regine trovavano posto nella Valle delle Regine, cioè Ta-Set-Neferu (Luogo della Bellezza ), poco distante dal primo sito.

Il sito si stende su un’area pietrosa e sabbiosa, una spianata sulla quale il sole batte ferocemente e non vi è alcuna speranza di rinvenire uno sprazzo ombreggiato, il calore è immenso e nelle tombe manca l’aria, tuttavia ne abbiamo visitate alcune, tra cui quella di Tutankhamon, non la più importante nè la più bella, ma sicuramente coperta da un’aurea di fama non da poco.

Alcune tra le molteplici tombe visitabili
Aperture verso l’interno (utilizzate per calarvi i sarcofagi)

L’accesso al sito presentava una sola apertura, consentendo quindi una maggiore sicurezza nel presidio, mentre la vicinanza al Nilo garantiva più facilità per lo svolgimento delle processioni funerarie e per il trasporto delle relative suppellettili. La struttura geologica presenta tre strati, uno formato da calcare bianco tebano, uno in scisto di Esna e l’ultimo in gesso di Dakhla: tale struttura stratificata è chiaramente visibile nella tomba di Seti I. Ad oggi vi si contano sessantacinque sepolture, delle quali purtroppo molte depredate, ma nonostante ciò è possibile rilevare differenze tra i vari sepolcri, in diretta correlazione con la dinastia di appartenenza; tuttavia lo schema architettonico è comune a tutte le sepolture, secondo uno schema logico che prevede quattro passaggi, preliminarmente si accede all’entrata, segue un santuario in cui riposano gli dei e poi si apre una sala dell’attesa cui segue una sala colonnata, detta “sala del carro” e da ultimo la camera funeraria o sala dell’oro, la quale ospita il sarcofago.

L’accesso alla Valle delle Regine
Resto di una volta stellata, purtroppo priva del colore della notte

Poco distante sorge la Valle delle Regine, sito di sepoltura delle madri, delle consorti e dei figli dei faraoni, situato sulla riva occidentale del Nilo, di fronte all’antica Tebe: la valle ebbe origine da un corso d’acqua che originava da una grotta con una cascata, già esaurito in epoca faraonica, ma che in caso di piogge torrenziali si ripresentava, tant’è che nella parte superiore della valle era stata costruita una diga a protezione dei sepolcri. Le camere di sepoltura vennero scavate nella roccia per conferire loro maggior protezione e ponendosi sotto la tutela della dea cobra Mertseger e della dea vacca Hator. La necropoli contiene più di settanta tombe, molte riccamente decorate come quella di Nefertari, grande sposa reale, in cui ancora oggi si possono ammirare i rilievi policromi perfettamente conservati.

Lasciata la valle facciamo una breve fermata per ammirare i Colossi di Memnon, due enormi statue di pietra del faraone Amenhotep III, eretti oltre 3400 anni fa nella necropoli di Tebe e già famose nell’antichità, quando, a causa del degrado subito, da una di esse si propagavano rumori che all’epoca vennero interpretati quali il saluto di Menmon alla propria madre. Le due statue, alte 18 m., rappresentano il sovrano in posizione seduta, mentre nella parte inferiore sono scolpite la figura della moglie Tiy e della madre Mutemuia, invece i pannelli laterali rappresentano Hapy, dio del Nilo. Esse sono state realizzate da blocchi di quarzite, probabilmente scavata a Giza o a Gebel el-Silsileh, e la loro funzione era quella di guardia al tempio del sovrano.

A questo punto della giornata ero già discretamente a pezzi, cotta dal sole e distrutta dal calore di una giornata cocente, ma poteva mancarmi la chicca? Quella che mi ha uccisa definitivamente? Il tempio di Hatshepsut, meravigliosa costruzione funeraria a gradoni poco distante dalla Valle dei Re, dedicato al dio del sole Amon-Ra, e costituito tra tre livelli di terrazze per un totale di 35 m. in cui ogni livello presente una doppia fila di colonne quadrate e, nei pressi della cappella, alcune colonne protodoriche. I tre livelli sono collegati da una scalinata imponente ed armoniosa, all’epoca situata in un contesto di giardini ricchi di piante esotiche, tra le quali il franchincenso e la mirra, mentre oggi la visita si svolge interamente su una spianata rocciosa bollente e cotta dal sole. Senza massacrarvi di ulteriori spiegazioni noiose, specifico solo che la struttura architettonica seguiva la consueta forma tebana ricca di piloni, corti, ipostili, corti solari, cappelle e santuari.

Tutto il villaggio appare con questa conformazione
Discesa ad una tomba

Lasciato il tempio ho subito la mazzata finale: il villaggio operaio di Deir el-Medina, ennesima spianata cocente che ci riporta ad un insediamento abitativo ospitante operai, artigiani ed artisti, ossia coloro i quali lavoravano alla realizzazione e alla manutenzione delle tombe della valle, noti come i “servi del luogo della verità “. Una nota curiosa: spesso si parla di sepolcri realizzati dagli schiavi, repressi e malnutriti, mentre in realtà essi erano degli operai regolarmente salariati e con i dovuti giorni di riposo (dieci giorni di lavoro e due di riposo), motivo per il quale lavoravano con tanta maestria. Il villaggio è distante dalle rive del Nilo ed è circondato da una sorta di mura fortilizie, forse realizzate più per contenere la libertà degli abitanti che a scopo difensivo: qui ho avuto modo di scendere in due tombe, strettissime, ripide e prive d’aria, ma molto ben conservate e ricche di incisioni.

Accesso al tempio

Vi lascio alle immagini, molto più esplicative di qualsiasi descrizione, nonostante abbia dovuto estrapolare pochi scatti tra le innumerevoli foto interessantissime… ma tutto sarebbe stato da fotografare! Non vi tedio nemmeno con le didascalie… godetevele e spero di riuscire almeno ad incuriosirvi, è un paese da visitare assolutamente e che, ultimamente, ha davvero bisogno di riprendersi anche grazie al turismo!

La parte migliore: il rientro alla nave 🤣

Arte, storia ed architettura/ Egitto

Edfu Temple

Nel corso della mini crociera lungo le acque del Nilo siamo sbarcati ad Edfu, sita nel Governatorato di Aswan, dove sorge uno dei più bei templi dell’antico Egitto nonché il meglio conservato. Esso risale all’Antico Regno e venne restaurato, nel corso del Nuovo Regno nella XVIII dinastia, da Thutmosi III e successivamente inglobato nella nuova ricostruzione nel corso della dinastia tolemaica, le cui vestigia sono ancora visibili. Nel corso del 1860 venne liberato, ad opera dell’archeologo Auguste Mariette, dalle sabbie che lo seppellivano quasi totalmente, rivelando in tal modo l’ottima conservazione dell’edificio, compreso il naos e le tre colossali statue in granito nero rappresentanti altrettanti falchi dotati della doppia corona dell’Alto e Basso Egitto.
Il tempio rappresenta l’archetipo del tempio con struttura “a cannocchiale”, con una teoria di sale sempre più piccole e più buie, fino al sacrario del naos, completamente avvolto dall’oscurità, perfetta antitesi del modello del tempio solare.
Esternamente il pilone presenta, nei decori, delle rappresentazioni di Tolomeo XII nell’atto di sacrificare dei prigionieri al dio, altri sovrani tolemaici e la locale triade composta da Horo di Behedet, Hathor ed il figlio Ihi, oltre ad antichi dogmi religiosi tra i quali i quattordici ka del dio Ra ed altre divinità, tra le quali Ra-Harakhti, Hathor e Horo Sema-tawi, ossia “Horo che unisce le due Terre”.

Il mammisi del tempio, ossia il “luogo del parto”, sezione del tempio dedicato alla maternità
Il passaggio da una stanza all’altra, dalla luce esterna verso il cuore dell’edificio
I capitelli sono qualcosa di spettacolare in tutto il paese
Incisioni e capitelli ovunque

Tra i numerosi dettagli vi è la ricorrente immagine della barca solare, la “Festa annuale di Opet”, la posa della prima pietra del tempio e numerose altre che non sto ad elencarvi per non annoiarvi, del resto ciò che vi suggerisco, se ne avrete la possibilità, è di fermarvi a visitarlo perché ne vale davvero la pena. Tuttavia merita un cenno il sacrario, contenente il tabernacolo monolitico in granito, con la statua del dio falco Horo, eretto dal sovrano Nectanebo I della XXX dinastia, essendo il reperto più antico unitamente al supporto della barca sacra.
Il tempio fu terminato il 5 dicembre del 57 a.C. dopo ben due secoli di lavori e risulta essere il secondo, per dimensione, dopo quello di Karnak, grazie ai quasi settemila metri quadrati che lo contraddistinguono, compreso anche il mammisi realizzato da Tolomeo VIII, pur se solo successivamente decorato ad opera di Tolomeo IX Soter II. Vi si svolgevano cerimonie religiose quali la Festa del Nuovo Anno, il matrimonio annuale di Horus con Hathor di Dendera e la vittoria del dio su Seth oltre alla suggestiva incoronazione annuale di un falco vivo, appositamente allevato nel tempio dai sacerdoti, del quale ancora oggi sopravvive la statua zoomorfa che sfida lo scorrere dei secoli.

La barca (questa è una riproduzione) nel naos
La barca, onnipresente nelle incisioni
Il dio falco con la doppia corona del’Alto e Basso Egitto

Oggi ho dedicato il post ad un’unica visita perché il prossimo che vi proporrò sarà già molto complesso di suo e temo dovrò frazionarlo, quindi ne approfitto per lasciarvi qualche scatto di quella che è la vita locale, quella lontana dalle mete turistiche patinate in quanto, nonostante gli sfarzi di un’antica civiltà, ad oggi questo paese meraviglioso è abbastanza malmesso, la miseria si tocca con mano e vedere dei bimbi seminudi che giocano nella polvere sotto un ponte ti spezza il cuore… posso solo dirvi che l’umanità della gente ti accarezza il cuore e che ci tornerei mille volte, nella polvere, sotto un sole impietoso, ma davanti al paese vero, quello che in tutte le sue sfaccettature ti ruba l’anima.

I tuk-tuk, presenti ovunque e spesso guidati da ragazzini
Scorci di vita in un paese dove l’infanzia non esiste

Vi lascio con questi pochi scorci, cui ne seguiranno degli altri, di spaccati di vita perché, al di là delle vestigia storiche che mi sono state presentate, il fascino di un paese nasce sempre da come lo vivi.

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