Iniziamo un’altra giornata sotto un cielo che cambia di continuo, tra raggi di sole cocente e nuvoloni che rotolano su se stessi donandoci attimi di refrigerio e decidiamo di affrontare parecchi chilometri per uno scopo nobile: raggiungere il birrificio che produce la Weissbier più buona che abbiamo mai bevuto! Arriviamo quindi al birrificio Gutmann di Titting, un piccolo stabilimento perduto nel nulla che produce solo wiessbier di una qualità eccelsa e ovviamente aggiungiamo un’altra cassa di bottiglie alla già cospicua collezione destinata alle nostre scorte, tant’è che ne abbiamo per tutto l’anno a venire.
Lasciamo il birrificio e, dopo la pausa pranzo, visitiamo Donauwörth, una cittadina graziosissima che sorge su un’isola tra il fiume Wörnitz e il Donau (il Danubio): è un piccolo centro ricco di fiori e di casette colorate, con due bellissime chiese che non ometto di ammirare, non per fede cattolica in quanto non credente, ma da amante dell’arte.
Lungo il perimetro della strada principale, cui si accede dalla porta che si apre lungo le mura rimaste in ottime condizioni, possiamo vedere svariati edifici originali e rimaneggiati come abbiamo notato anche nelle tappe precedenti, spesso riutilizzati quali sedi amministrative, commerciali e abitative, il tutto però perfettamente omogeneo in uno stile urbano e cromatico ineccepibile.
Anche questa è una cittadina da vivere, da passeggiarvi con il naso all’insù, il che vi permetterà anche di notare, sui comignoli, la presenza di cicogne nei loro nidi… rammento di averne viste molte in Polonia ed in Alsazia e ho provato un piacere immenso nel reincontrarle in un contesto urbano.
Di edifici notevoli ovviamente ce ne sono degli altri, tuttavia non intendo limitarmi alla noiosa veste di “guida turistica”, bensì cercare di condividere l’atmosfera del luogo, le sensazioni e la poesia che il mio “occhio fotografico” ha scorto in molti angoli di questo grazioso isolotto.
Siamo rientrati in camper dopo la consueta sosta per una weissbier all’aperto ed una passeggiata lungo il Danubio, senza stress alcuno e godendo del tepore del sole ancora alto nonostante fosse quasi ora di cena; domani ci aspetta l’ultima giornata di questa bellissima mini vacanza inaspettata e che si sta rivelando una meraviglia!
Come promesso eccomi per poche dritte spicce, dettate da alcuni giorni di esperienza volti a confutare parte delle informazioni forniteci dall’agenzia viaggi.
Clima: ovviamente il periodo dell’anno in cui si intraprende un viaggio rileva, comunque il clima è estremamente variabile, ma non per questo motivo c’è da viaggiare con la cabina armadio appresso. Noi abbiamo dormito negli alberghi, quindi comfort massimo, e di ciò che abbiamo portato ben poco ci è servito. Premesso che avevamo, a testa, un trolley piccolo ed uno zainetto, ma già era troppo: lì si va con solo abbigliamento tecnico (e fin qui abbiamo rispettato il consiglio), dal momento che è ciò che indossano anche i locali, tuttavia mi sono limitata ad usare un paio di pedule basse alla caviglia, con le quali ho viaggiato, nonostante i tre giorni di pioggia, riservando un paio di Ugg alle cene in albergo, almeno per comodità, ma una sneaker sarebbe bastata.
Calzini da trekking e pedule alte? Un impiccio inutile.
Andate a vedere le balene e vi consigliano di portare sovracalzoni impermeabili e poncho? Inutili perché ti vestono loro. Magari portate un poncho per qualche escursione sotto un tempo sfigato perché l’ombrello NON si usa visti i venti impetuosi che possono colpire l’isola.
Andate alle terme? Il telo in spugna lo forniscono loro, non portatevi nulla fuorché costume e ciabattine in gomma.
Tutti gli alberghi forniscono shampoo doccia e balsamo, qualcuno anche salviette struccanti, cotton fioc e crema corpo.
In sostanza vi riassumo quanto io ho effettivamente utilizzato: un leggings da trekking, uno morbido per l’albergo e uno più stretch per il viaggio, due magliette a manica corta, una per la giornata e l’altra per la cena mentre la prima, lavata al volo, si asciugava sul termoarredo, anch’esso sempre presente.
Biancheria lavata giornalmente, quindi due pezzi di tutto.
Portare un berretto, guanti e scaldacollo, anche se non ho usato quasi nulla, ma siamo stati fortunati con il tempo.
Ultime cose: avevo un giaccone tre in uno staccabile, sotto un giacchino tecnico con cappuccio e uno di ricambio per il viaggio di ritorno. Stop.
Piuttosto, se vi avanza un angolino in valigia, portate degli snacks, cibo confezionato, tutto aiuta poiché questo è un argomento dolente: l’albergo offre delle colazioni strepitose, comprese nel prezzo, scordatevi di portarvi via i panini poiché è moralmente vietatissimo, i pranzi li farete nel nulla assoluto quindi solo con degli spezzafame, mentre le cene non sono comprese nel prezzo della camera. Noi abbiamo dormito principalmente nella catena Fosshotel, favolosa, ma di solito sorgono nel nulla, quindi zero alternative e una cena per due, con una o massimo due pietanze a testa, scelte tra quelle più economiche (il pesce è l’alimento che costa meno) va dai 50 ai 100 euro per due persone , chiaramente morendo di fame dopo una giornata a scarpinare, nonostante i piatti siano abbondanti. Ricordatevi che gli antipasti sono costituiti da minestre a base di pesce o di carne, abbondanti, delle volte da terrine di pesce e pane di segale, mentre il piatto principale è sempre ricco di verdure e spesso include anche carne o pesce, mentre prima di ordinare vi porteranno spesso del pane con del burro composto da spalmare , il che aiuta a saziare. Inoltre non esiste l’acqua minerale, ma solo ottima acqua di fonte (e ci credo…); gli alcoolici vengono forniti solo da bar e ristoranti e da pochi negozi autorizzati dallo stato, a seguito di un lungo periodo di protezionismo. In un negozio di alimentari ci lascerete comunque le penne perché i prezzi sono folli ovunque. Se avete una botta di fortuna da trovare un fish and chips sappiate che li fanno buonissimi e ve la cavate con poco più di 40 euro per due persone.
Tutti i negozi aprono alle 10 del mattino e le cucine di alberghi e ristoranti chiudono alle 20, fondamentale da ricordare per non morire di fame. Se trovate qualche punto vendita facente parte della catena con il simbolo del porcellino (quello del salvadanaio, per intenderci), fate scorta perché è quello in cui vi peleranno di meno.
La benzina: ancora dolori. Le pompe sono poche, pertanto appena ne vedete una rabboccate il serbatoio… non si sa mai, comunque il prezzo è solo un po’ più elevato del nostro. Insomma si spende molto (ma ne ero consapevole ), per contro quasi tutte le escursioni sono gratuite; personalmente abbiamo pagato solo il tour del ghiacciaio, quello delle balene e la spa.
Qualunque spesa, pure un caffè, si paga con la carta di credito: io ho usato una semplice Revolut ricaricabile, accettata ovunque, che mi ha permesso di controllare tutte le uscite direttamente con la conversione da corone in euro. Gli alberghi vi chiederanno sempre una carta di credito di garanzia, come del resto l’autonoleggio, quindi avrete bisogno anche di una carta di credito con i numeri in rilievo.
Lingua parlata: inglese. Lo parlano alla perfezione ed è molto comprensibile, tuttavia mi è capitato, in pochi casi, che nonostante il mio inglese piuttosto buono e fluente abbia trovato qualche individuo incomprensibile (però disponibile a collaborare).
Strade e limiti di velocità: le autostrade non esistono, vi sono solo strade molto scorrevoli che però seguono la morfologia del territorio, impegnando il viaggiatore a macinare chilometri su chilometri, talora su strade asfaltate ma ricoperte di ghiaia vulcanica a protezione da eventuali gelate. Il limite massimo è di 90 km/h, non vi sono controlli (almeno visibili) e infatti i locali corrono come dei pazzi, dimostrando grandi abilità nella guida vista la tipologia di strade (e detto da me che al volante sono piuttosto allegra).
Penso di aver fatto un sunto abbastanza decente per una rapida comprensione, ma semmai chiedete chiarimenti… io intanto vi lascio con una carrellata di squisitezze che ho avuto modo di degustare, almeno rendiamo onore al tema principale di questo blog, ultimamente messo un po’ in disparte.
Vi ho convinti? Sappiate che gli islandesi sono un popolo di una gentilezza estrema, molto rilassati e amichevoli, quindi… buon viaggio!
Siamo arrivati al nostro ultimo giorno prima del rientro in Italia, vorremmo ancora vedere moltissime cose del paese che ci sta ospitando ma il tempo è tiranno nonostante ogni giorno che passa ci rendiamo conto di quanto questa terra offra al visitatore… quindi scegliamo le ultime tappe quotidiane, saliamo sulla jeep e via!
La prima fermata dista poco dal nostro albergo, quindi scendiamo a Seljalandfoss per ammirare, in tutta la loro imponenza, le cascate che si aprono lentamente allo sguardo in un mare di nebbia, ben presto dissoltasi offrendoci uno spettacolo unico.
Il sentiero offre la possibilità di ammirarne la portata a 360 gradi, nonostante la doccia garantita difficilmente evitabile, per poi accompagnare il visitatore fino alle vicine cascate minori.
La tappa seguente la facciamo a Urridafoss, sede delle rapide più ampie d’Islanda, in merito alla quali c’è poco da aggiungere alla consueta utilità dell’energia idrica per il il paese, ma solo da fermarsi ed ammirare quanta bellezza la natura regali generosamente allo sguardo di chi la apprezza.
Ed eccoci arrivati ad una delle visite che aspettavo con maggior trepidazione, siamo a Geysir, località ricca di geyser che prende il nome da quello più attivo tra tutti; infatti qualcuno si limita solo a ribollire e a gettare qualche fiotto d’acqua, anche a causa della scellerata mano umana che, nel gettarvi all’interno delle monete, ha bloccato l’attività eruttiva, mentre uno di essi offre questo spettacolo ogni 4-5 minuti circa… un getto immenso, improvviso e che dura una frazione di secondo.
Facciamo una capatina al volo anche a Thingvellir, immenso parco naturale in cui, per la gioia di mio marito, in quanto appassionato di storia, sorge il punto in cui i vichinghi istituirono il primo parlamento al mondo, oggi una sorta di circolo di pietre, come potete intuire dalla foto.
Una volata la facciamo anche a Reykjavik, capitale del paese ed inaspettatamente graziosissima, con un centro ricco di casette basse e colorate che sembra quasi di trovarsi tra le stradine londinesi di qualche film; inoltre è una città piena di vita e di giovani che va semplicemente vissuta tra una passeggiata ed una sosta ad un fish and chips.
Ed eccoci arrivati all’ultimo appuntamento, da me attesissimo vista la mia immensa passione per l’acqua: siamo alla Sky Lagoon, un’esperienza unica tra piscina termale, sauna, massaggio con olii essenziali e bagno turco. C’è chi ne fa un appuntamento tra amici offrendo la Spa anche un bar cui si accede direttamente dall’acqua, all’interno di una grotta, dove poter godere di un aperitivo, e chi si affaccia al mare sottostante sia dalla sauna, la cui immensa vetrata ne offre una panoramica diretta, sia dalla piscina che, al tramonto, è un sogno. Ad un lato della piscina vi è una cascata di acqua tiepida, sotto la quale nuotare immersi negli zampilli, mentre dalla parte opposta non può mancare una pozza di acqua vicina allo zero termico in cui immergersi per riattivare la circolazione.
Vi lascio alle immagini, salutandovi in volo e rimandandovi ad un ultimo post per pochi consigli pratici dettati da questa esperienza meravigliosa che ha contraddetto alcune dritte forniteci dall’agenzia viaggi, rivelatesi errate e che ci hanno costretti a portare un bagaglio eccessivamente pesante.
Ottavo giorno della nostra permanenza in terra islandese, anche oggi iniziamo le prime ore del mattino sotto la pioggia ma poco ci importa in quanto questo paese è incredibile con qualsiasi condizione meteo.
La prima brevissima tappa la facciamo per onorare la memoria di un figlio d’Islanda, Jön Ericsson, il cui monumento eretto a sua memoria svetta lungo la nostra strada: trattasi di un cittadino nato in condizioni di povertà ma sveglio d’intelletto, motivo per cui la sua cultura venne patrocinata dall’arcivescovo del paese, facendo sì che egli potesse diventare docente di diritto e costituendo quindi motivo di orgoglio per il paese che ci ospita. Insomma si è trattato di una tappa breve e forse di scarsa attrattiva, ma a noi è sempre interessato fare propria anche una parte del paese in cui ci troviamo, in quanto comprendendo la cultura del luogo ci si rapporta meglio con chi lo abita.
Dopo qualche fermata di minore rilevanza abbiamo deciso di recarci a Diamond Beach, uno spettacolo che ci ha permesso di ammirare le foche nuotare tra gli iceberg, i cui pezzi staccatisi, simili a dei diamanti, si stendono lungo tutta la spiaggia, da cui il nome che la identifica. Dire bella è poco, una distesa di sabbia nera cosparsa di diamanti di ghiaccio mentre le foche nuotano indisturbate poco lontano dalla riva osservando i visitatori e interagendo con il resto della fauna marina, rappresentata da una moltitudine di volatili. Durante questo viaggio ho infatti ammirato moltissimi cigni e svariati plantigradi di ogni dimensione.
Un paio di note morfologiche: questo luogo è costituito dal lago Jökulsárlón, il quale offre una eccezionale vista della calotta glaciale, alta 910 m., e si riversa nella laguna portando con sè alcuni blocchi di ghiaccio più piccoli. Questi presentano una colorazione che vira dal bianco lattiginoso all’azzurro, sino al blu brillante, a seconda della quantità d’aria intrappolata nel ghiaccio.
Lasciato questo paradiso di ghiaccio (la temperatura era davvero polare) ci spostiamo verso Kirkyubæjarklaustur, un paesaggio lunare formatosi a seguito delle eruzioni vulcaniche ed attualmente ricoperto da uno strato di muschio tale che, nei punti in cui lo spessore è minore, presenta un manto con una consistenza che va dai 40 ai 60 cm.
Si tratta di una visita rapida in cui è previsto un passaggio, alquanto sconnesso, sulla roccia lavica, tuttavia imperdibile.
Lasciamo questa landa vulcanica per raggiungere la Black Sand Beach di Vík: incantevole! Fa freddissimo, le onde si infrangono violentemente sulla battigia, ma la bellezza del luogo è incomparabile grazie alla sabbia di origine vulcanica e un mare stupendo che si esibisce in tutta la sua potenza.
Scollinando, dopo Black Sand Beach, giungiamo alla Reynisfjara Black Sand Beach, anch’essa una spiaggia di sabbia nera, ma caratterizzata dalla presenza di onde anomale che si scagliano violentemente sulla battigia, tant’è che prima si scendere sul bagnasciuga è presente una segnaletica indicante il grado di pericolo (oggi era presente la luce gialla). Si narra che vi fu un pescatore che raccolse una pelle di sirena vicino alla grotta presente a lato della spiaggia e che l’uomo, inoltratosi nella caverna, incontrò una sirena nuda e tremante alla quale rese la pelle, la prese in sposa ed ebbero molti figli, sino al giorno in cui il richiamo del mare fu talmente forte che la sirena lasciò la famiglia; da tale momento il pescatore ebbe sempre delle pescate ricchissime e i figli raccolsero le conchiglie più belle, ma la sirena non tornò mai indietro.
Ultima tappa della giornata è stata il sito di Sólheimasandur Plane Wreck, raggiunto grazie ad un mezzo 8×8, che altro non è che una spiaggia ove giace un DC117 americano, lì abbandonato nel 1973 a seguito di un atterraggio di emergenza dovuto ad un’avaria del velivolo che, fortunatamente, non ebbe conseguenze in termine di vite umane.
L’ultima giornata del nostro viaggio sarà particolarmente bella, tuttavia non garantisco di pubblicarla domani sera in quanto siamo rientrati tardissimo in hotel (capirete il perché appena vi racconterò tutto) e domani abbiamo il volo di ritorno, con il previsto arrivo a casa non prima delle tre del mattino dell’indomani.
Datemi due o tre giorni e vi porterò con me nell’incanto…
Oggi lasciamo la graziosissima camera mansardata che ci ha ospitati per la notte con un tempo bruttissimo, tra acqua a secchi, nubi bassissime e vento gelido, alla volta di una serie di tappe lungo il percorso verso la meta serale.
Percorriamo la strada costiera che va da un fiordo all’altro, brulla, aspra, selvaggia, un incanto da togliere il fiato; come spesso capita in questo paese da sogno molti tratti sono di strada bianca ma la nostra gippetta si arrampica ovunque.
La prima fermata è alla spiaggia nera di Meleyri, a Breidalsvík, un’immensa distesa nera, cosparsa di alghe enormi, sulla quale i flutti si infrangono quasi a sfidarti ad avvicinarti… meravigliosa!
Dopo un breve spostamento (siamo sempre tra i quindici e i trenta minuti) raggiungiamo la Green Rock, costituita da un blocco di lava solidificata che, nel suo tramutarsi in pietra, ha assunto una intensa colorazione verde a causa della presenza di clorite.
Arriviamo alla cascata di Fossardalur, un getto d’acqua che sposta dagli 8 ai 150 metri cubi di acqua, producendo una potenza, pari a 14 kw, che copre il fabbisogno energetico dell’intera valle.
Dopo una breve sosta a Djupivogur, più che altro per un pranzo al sacco velocissimo e sotto una pioggia torrenziale, ci spostiamo a Stapavik… lo spettacolo della giornata odierna! Vi lascio alle immagini perché la potenza del luogo è indescrivibile a parole…
A Höfn finalmente riusciamo a raggiungere un faro con la nostra gippetta, senza dover affrontare delle scarpinate lunghissime, il gelo e il vento sferzante sono indescrivibili, scendiamo dalla macchina tenendo salde le portiere per non scardinarle, ma lo spettacolo è affascinante e mozzafiato, dalla punta dello sperone del fiordo verso il mare sottostante.
Ancora pochi minuti di guida e siamo a Skútafoss, ancora una cascata, ancora una meraviglia della natura non intaccata dalla mano umana, semplicemente uno spettacolo da ammirare, un regalo per chi ha la bellezza nello sguardo.
L’ultima fermata la facciamo a Naustin I Papafirdi, nome particolare per un luogo di bellezza incomparabile… solo poesia!
È stata una giornata intrisa di bellezza, il maltempo non ha mai mollato la presa, ma quella costa, quei fiordi, quelle rocce nella poesia della nebbia, delle nubi basse, del vapore… è stato tutto un incanto, sembrava di stare in una favola, ho apprezzato tutto, fino all’ultima goccia di pioggia e all’ultimo alito di vento, mi sono sentita viva come non mai, solo noi e la potenza della natura!
Questa è nata come una giornata di mero spostamento tra due zone del paese, oltretutto con la prospettiva di macinare molti chilometri, tuttavia ci dispiaceva enormemente sprecare un giorno senza vedere qualche angolo di natura.
Alla fine, lungo la strada, abbiamo avuto modo di fermarci ad ammirare una serie di cascate provenienti dal fiume Rjukand che, dividendosi in tre rami, genera dei salti d’acqua stupendi.
Di chilometri ne abbiamo macinati tanti e lo dico con cognizione di causa in quanto ieri era il mio turno di guida, del resto sono fortunata perché mi capitano sempre strade bianche e valichi montani densi di nebbia da tagliare con il coltello. Comunque sia ci siamo fermati per uno spuntino al Moira Canyon, una visita velocissima ma molto carina per ammirare la morfologia del territorio.
Ripartiti belli sazi ci siamo fermati presso questa bella chiesetta costruita integralmente in torba, come le casette del villaggio dei giorni scorsi: a seguito di uno scavo è stato rinvenuto un antico insediamento vichingo, del quale solo la chiesa era chiaramente identificabile, motivo per cui questa è stata ricostruita secondo la manualità vichinga, il resto dell’area è stato recintato al fine di offrire al visitatore un’idea d’insieme di come poteva essere organizzato un villaggio.
Finalmente, dopo molto nervosismo da parte della pilota, dovuto al maltempo, alla visibilità nulla e alla stanchezza, abbiamo raggiunto il Rejdarfjördur, il fiordo meta della nostra giornata, immerso nelle nubi ma con il fascino che solo queste terre regalano.
Domani ci toccherà un ulteriore spostamento, molto più breve di quello odierno, ma ricco di tappe, pur con la consapevolezza che il maltempo ci accompagnerà sino a sera…
Domani vi farò compagnia con delle tappe di una bellezza selvaggia!
Il quinto giorno del nostro tour on the road nasce con un sole meraviglioso, il che ci rende fortunatissimi visto che ci aspetta l’escursione, quella con la E maiuscola, la più attesa di tutto il viaggio: il whale watching tour, il giro in barca per conoscere i giganti gentili, le balene, con una puntata anche alla Puffin Island, l’isola dove nidificano le pulcinelle di mare.
Nel corso dell’organizzazione del viaggio avevamo cercato di prenotare il gommone, in maniera tale da avvicinarci quanto più possibile a questi animali meravigliosi senza arrecare loro alcun disturbo, ma alla fine la compagnia armatrice aveva deciso di non ricorrere ancora ai gommoni rimandando l’apertura della stagione, quindi ci siamo trovati costretti a prenotare una barca a vela… per poi ritrovarci su un barcone pieno di gente! Ci è andata comunque bene in quanto il capitano ha fatto di tutto per avvicinarsi quanto più possibile, ad ogni avvistamento dei cetacei, nel silenzio più assoluto.
L’esperienza più bella della mia vita, sono delle creature meravigliose che si muovono sempre in coppia, di temperamento docile e gentile, ingiustamente braccate per secoli, hanno inoltre una grazia nei movimenti in completa antitesi con la mole che le contraddistingue… posso solo dirvi che appena le ho viste immergersi ho saputo solo dire “woooowwww” con gli occhi che mi brillavano per la gioia.
Nella zona in cui sono state collaborative nel mostrarsi ai nostri occhi, il settanta per cento sono giovani maschi, non ancora al massimo della propria corporatura, diciamo sui 9-10 metri contro il 15-16 di un esemplare adulto, inoltre le due specie più diffuse in quel ramo di mare sono le Humpback e le Minke, distinguibili non solo per la lunghezza del corpo, ma dai colori che contraddistinguono le venature della coda.
Ho voluto visitare anche il piccolo museo adiacente l’attacco delle imbarcazioni per approfondire la loro conoscenza, avendo modo non solo di scoprire quante specie diverse di balene vi sono al mondo, ma soprattutto le loro origini, in quanto nate come creature di terra e in cui ancora sono presenti le ossa lunghe degli arti, successivamente evolutesi da piccoli cetacei in quelle che conosciamo oggi per mere esigenze di sopravvivenza legate alla glaciazione; mi ha fatto molta tenerezza sapere come si legano al partner e come crescono i propri cuccioli, nutrendoli ed accudendoli sino a che non siano in grado, con ragionevole certezza, di cavarsela da soli, inoltre si tratta di animali che, biologicamente e a livello cerebrale, sono strutturati esattamente come l’essere umano.
Ancora con gli occhi pieni di stupore ci siamo spostati verso la zona geotermica visitata ieri, con l’intenzione di salire fino al cratere del vulcano: si è trattato di una salita di circa 100 metri, abbastanza impegnativa nell’ultimo tratto, che ci ha permesso di osservare l’interno del cratere e di fare una passeggiata lungo il perimetro dello stesso.
Abbiamo avuto l’immensa fortuna di godere di una giornata stupenda dal mattino alla sera, soprattutto in considerazione del fatto che per navigare in pieno mare artico abbiamo dovuto indossare delle tute termiche pesantissime al di sopra dei nostri già caldissimi indumenti termici, quindi non oso pensare come sarebbe stata in caso di maltempo. Vedere il mare artico scintillante sotto il sole, ammirare l’argenteo del manto delle balene e i simpaticissimi puffins tentare il volo sulla superficie dell’acqua è stato spettacolare. Due note al volo sui puffins: si tratta di uccelli graziosissimi ed imbranatissimi nel volo, tuttavia sono dei nuotatori eccellenti ed usano le ali per cambiare direzione nel corso del nuoto, soprattutto per effettuare delle virate rapidissime durante la caccia di piccoli pesci e di crostacei, che sono alla base della loro alimentazione.
Non so se mai ritornerò in questo magico paese, ma di una cosa sono certa: dovessi farvi ritorno solcherò nuovamente le acque artiche per incontrare di nuovo i giganti gentili.
Come promesso ieri sera, rieccomi qui a farvi compagnia con un po’ di tappe interessantissime, del resto vi avevo anticipato che si sarebbe trattato di una giornata intensa, quindi se non vi siete spaventati già leggendo il titolo del post andiamo avanti!
La prima sosta l’abbiamo fatta a Saudarkrókur, scoperta per caso semplicemente fermandoci perché ci ispirava e ne è valsa davvero la pena in quanto ci siamo trovati davanti ad una bellissima spiaggia nera, ricoperta da sassolini vulcanici finissimi che conferiscono l’aspetto particolarissimo al paesaggio.
La seconda fermata è stata casuale quanto la prima ed è stata assolutamente meravigliosa: un borghetto rimasto fermo alle origini, con la possibilità di visitare anche l’interno di una casa dell’epoca, interamente costruita con fango ed erba essiccata… godetevi le foto perché il luogo è un incanto, un vero spaccato della società rurale dell’epoca.
Nel corso del nostro spostamento abbiamo fatto una pausa pranzo (in merito al cibo ne riparleremo) al lago di Ljiosavatn, molto carino ma purtroppo invaso ma sciami fittissimi di moscerini molesti che soggiornano a pelo d’acqua.
Ed eccoci a Godafoss… e qui inizia lo spettacolo! La cascata degli dei, così definita in quanto intorno all’anno mille Lögsögumadur Porgeir Ljósvetningagodi impose il Cristianesimo quale religione ufficiale in Islanda e, per sottolineare la propria conversione, gettò nella cascata le statue degli idoli pagani. Tuttavia si narra che già antecedentemente il nome della cascata fosse usato in quanto ritenuta sacra in onore degli dei Odino, Thor e Freyr.
Il luogo è magnifico, ce lo siamo goduti sotto un sole cocente che ci ha permesso di passeggiare con la sola maglietta e di godere dei primi segni dell’estate.
Arrivati a Masvatn ci siamo fermati lungo la strada per ammirarne il lago ghiacciato, uno dei primi segni che ci stavamo dirigendo verso uno dei punti più a nord del paese, dopo aver comunque già avvistato in lontananza le coste della Groenlandia.
Ed eccoci al lago di Myvatn, la destinazione finale della giornata odierna, zona assolutamente spettacolare che sorge in zona vulcanica, tant’è che dopo esserci fermati ad ammirarne le sponde, abbiamo cercato di approfondire la zona, scoprendo che l’attività vulcanica regala anche delle curiose fumarole e una distesa di affascinanti solfatare.
Seguendo le fumarole scopriamo un maestoso impianto di energia geotermica, che riscalda l’intera zona, adiacente alle pendici del vulcano di Leirhnjukur, peraltro ancora attivo, come dimostrato dal persistente odore sulfureo, dalla presenza dei fuochi di Krafla, da pozze di magma ribollente e da terra nerastra.
Le pozze sulfuree di Nàmafjall valgono davvero una visita: si passeggia su sentieri segnati tra vapori bollenti, pozze gorgoglianti e punti in cui la temperatura del terreno varia tra gli 80 e i 100 gradi.
L’Islanda è una terra magica, in equilibrio tra un mare gelato e un terreno bollente, è terra di fuochi e di balene, è una terra senza nulla ma che non ha bisogno d’acqua, non ha bisogno di fuoco, nè di energia, è una terra di cavalli dal manto lungo e meraviglioso, è una terra in cui l’uomo rispetta la terra e non la travalica, in cui le strade hanno lunghezze infinite in quanto seguono la morfologia del territorio, è una terra di rispettosa convivenza tra la natura e l’uomo.
Quella di oggi nasce come una giornata di trasferimento libera da escursioni prenotate e quindi completamente a nostra disposizione, quindi mi siedo alla guida della nostra gippetta e mi preparo ad affrontare più di duecento chilometri, la maggior parte dei quali verranno percorsi su strade sterrate e che metteranno a dura prova le mie abilità di pilota.
La prima tappa della giornata ci vede salire sulla montagna sacra di Helgafell, situata sulla penisola di Snæfellnes: si tratta di un’altura di soli 73 m. sulla quale venne eretto un tempio in nome di Thor da Pórólfr Mostrarskegg, primo colono della zona. La tradizione vuole che, se vi si sale e si scende in silenzio, senza mai guardarsi alle spalle, si possano esaudire tre desideri.
La seconda tappa la facciamo a Kolugljufur per ammirare le bellissime cascate, anch’esse legate ad una tradizione locale; infatti si narra che la gola Kolugil, in cui scorre il flusso d’acqua, debba il proprio nome alla troll Kola, qui sepolta insieme al proprio tesoro, tant’è che sia la gola che l’adiacente collina siano protetti da un incantesimo.
Pristapar rappresenta la terza tappa, legata a quella che storicamente fu l’ultima esecuzione avvenuta in Islanda, risalente al 12 gennaio 1830 e che vide protagonisti Agnes Magnúsdóttir e Fridrik Sigurdsson, rei di aver commesso un doppio omicidio nei confronti di un proprio compaesano (che, letta tutta la storia, proprio uno stinco di santo non era), che valse loro la decapitazione.
La quarta tappa è stata un po’ una delusione in quanto a Vatnsdalhólar era prevista una passeggiata lungo la sponda di un lago, purtroppo disattesa in quanto recintata nonostante le diverse indicazioni forniteci, tuttavia abbiamo avuto la gioia di conoscere una cagnolona simpaticissima che ci ha riempiti di baci e che ha tentato di espatriare salendoci in macchina (e se fossimo stati in camper sono certa che mio marito l’avrebbe adottata nonostante non si trattasse di una randagia)… c’è rimasta così male quando siamo dovuti ripartire (e noi pure)…
Prima di arrivare all’albergo ci siamo fermati a Gullsteinn, dove è posta una pietra a ricordo della fattoria in cui visse Porvaldur Kodransson, un missionario al seguito del vescovo Friderkur di Sachen; tale pietra veniva venerata dai pagani e si narra che si spezzò quando il vescovo cantò per esorcizzarla a favore del cristianesimo.
Insomma, mica male per un semplice trasferimento… alla fine abbiamo avuto modo di arricchire un po’ il nostro bagaglio culturale con la storia di un paese meraviglioso del quale si conosce poco. Domani però sarà un po’ più movimentata, quindi appuntamento pressoché alla stessa ora per un’altra puntata da vivere con noi!
È iniziata ufficialmente la nostra avventura artica, tra escursioni programmate e prenotate ed altre da scoprire on the road.
Dopo poche ore di sonno, all’incirca tre, ed una veloce colazione (sono stata brutalmente strappata dal lauto pasto da mio marito prima che mi mangi anche i camerieri… ma poi se ne pentirà visti i prezzi del cibo, assolutamente non affrontabili con serenità) siamo saliti sulla nostra gippetta per raggiungere il ghiacciaio di Húsafell, visitabile grazie ad un tour guidato, a bordo di un mezzo 8×8 con ruote chiodate, che parte dal campo base di Klaki, per una durata di quattro ore.
La nostra bravissima conducente, Magdalena (uno scricciolo di ragazza con un piglio da camionista navigato), ci accompagna lungo sentieri terrosi sino all’inerpicarsi sul ghiaccio, su un manto nevoso accessibile unicamente agli spazzaneve, ripido e scivoloso, mentre la guida ci illustra l’intera morfologia del territorio.
Solo alla fine del percorso raggiungiamo la sommità di quello che, con i suoi 925 km quadrati, risulta essere il secondo ghiacciaio più esteso d’Islanda ed è da questo punto che si apre l’accesso al cuore di questa meraviglia, il tunnel del ghiacciaio Langjökull, illuminato magistralmente al suo interno, il che permette di ammirarne la morfologia.
La guida risulta essere molto chiara e paziente nelle spiegazioni, fornendo dettagli e curiosità relativi alle innumerevoli sfumature del ghiaccio, non senza prima aver fornito dei rampini chiodati a ciascun visitatore.
Per comprendere la vastità del ghiaccio basti pensare che lo stesso è formato da una serie di ghiacciai minori uniti l’uno all’altro senza soluzione di continuità, il che permette al visitatore di percepirlo come un’unica unità.
La guida è molto chiara nelle spiegazioni più dettagliate e ampiamente disponibile a soddisfare qualsiasi quesito venga rivolto, tuttavia la bellezza va ammirata, si tratta di un mondo sotterraneo incantato, da osservare ad occhi spalancati e con il cuore aperto nei confronti della natura e della sua capacità di produrre delle meraviglie immense che la mano umana non potrà mai eguagliare.