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Viaggiare con il palato

Bulgaria/ Viaggi

Sofia, una capitale da scoprire

Santa Sofia

Siamo stati di nuovo in giro, questa volta rigorosamente a bordo del nostro amato Chewbecca e con la compagnia di Bubu e Margot: destinazione Serbia. Ma… se ti avanzano tre giorni liberi vuoi non spingerti un po’ più in là per scoprire un paese nel quale non sei mai stato? E da qui alla decisione di raggiungere Sofia il passo è stato brevissimo, quindi, seppur con notevole ritardo, riordino le idee e vi porto con me in questo viaggio inusuale e lontano dalle rotte turistiche di massa.

La preparazione della documentazione sanitaria per i cani, richiesta dal necessario rientro in Croazia, è stato alquanto controverso e complesso viste le informazioni scarse e confuse che abbiamo ricevuto, per poi precipitarci ad effettuare la titolazione anticorpale, fortunatamente risolta in breve tempo grazie all’efficienza tutta austroungarica della mia città. Abbiamo attraversato tre frontiere e se già il passaggio da Croazia a Serbia non è stato proprio veloce, quello tra Serbia e Bulgaria è stato devastante con due ore ed un quarto inchiodati in terra di nessuno a causa dei controlli troppo serrati, il tutto dopo una raffica di rallentamenti dovuti ad incidenti perché, detto tra noi, i serbi guidano da cani e nel totale spregio delle regole.

Sveti Nedelja (Santa Domenica)

Ma veniamo finalmente al paese che ci ha ospitati, il più povero dell’area Schengen, e a Sofia, la capitale: è un paese controverso, proiettato verso il futuro da una parte della popolazione e arenato in un’immobilismo arcaico da un’altra percentuale di cittadini, un po’ per l’atmosfera fortemente sovietica che ancora permea la realtà e che rende tutto molto decadente, almeno in periferia, e un po’ per la nutrita percentuale islamica, tenacemente incatenata alla propria tradizione, al limite del fanatismo, che non permette al futuro di trovare spazi di espansione.

Il centro di Sofia è bellissimo e ricco di potenzialità, ci accoglie con la statua di Santa Sofia, per poi farci scoprire la cattedrale (una delle due) di Sveti Nedelja, chiesa ortodossa la cui struttura originale risale al X secolo, dalla base in pietra e pareti lignee, poi eletta a cattedrale nel XVIII secolo, e nuovamente eretta dopo aver smontato la struttura in legno nel 1856, questa volta in pietra; purtroppo due anni dopo un terremoto provocò all’edificio dei danni tale da prorogare la costruzione fino alla fine del 1863 ed avere finalmente la consacrazione nel 1867. Successivamente vennero aggiunti il campanile, nel 1879, e a cupola, nel 1898; tuttavia la chiesa subì ulteriori danni nel 1925 a seguito di un attentato e venne riconsacrata nel 1933. Il risultato di così tanti interventi di restauro lo possiamo vedere nello splendore attuale dell’edificio, riccamente decorato come da tradizione ortodossa eppure mai appesantito da eccessiva opulenza.

Chiesa russa di San Nikolaj

Un vero spettacolo è stata la visita a San Nikolaj, una piccola chiesa russa ortodossa con degli esterni spettacolari e degli interni non da meno, purtroppo anche qui le foto sono state rubacchiate, comunque si tratta di un edificio sorto sulle macerie della moschea Saray, distrutta nel 1882 dopo la liberazione della Bulgaria dall’Impero Ottomano. Essa venne progettata dall’architetto russo Mikhail Preobrazhenski e venne intitolata al santo patrono di Nikolaj II di Russia, allora al comando della nazione.

Qui le foto sono poche e di scarsa qualità in quanto era vietato fotografare, nemmeno a pagare il permesso come ho fatto a Sveti Nedelja
Gli interni risultano anneriti a causa del fumo di candela e sono in attesa di restauro.

Nel corso degli scavi per l’attuale metropolitana sono stati rinvenuti dei resti romani, poi riportati alla luce e liberamente visitabili a testimonianza dell’antica Serdica, nome di Sofia all’epoca dei Traci, probabilmente derivato dal nome celtico della tribù dei Serdi.

Il Decumano Massimo
Tappa al ristorante russo con un buonissimo antipasto di verdure fermentate
Un ottimo borscht vegetale con panna acida
Ravioli alle ciliegie con sciroppo di mirtillo e panna acida
E la birra russa di Luca
Un ristorante carinissimo ed impeccabile!

Dopo la pausa pranzo abbiamo avuto modo di visitare la Cattedrale di Alexandr Nevskij, anch’essa ortodossa, costruita in stile neo bizantino, la seconda per grandezza di tutta la penisola balcanica, seconda solo a quella di San Sava a Belgrado. L’interno è in stile italiano, ricco di alabastro, bellissimo nonostante vi possa mostrare solo poche foto rubate, come di consueto; essa è stata intitolata al principe russo Aleksandr Nevskij in quanto eretta per commemorare la morte di duecentomila soldati russi caduti nel corso della guerra russo turca del 1877-78, al termine della quale la Bulgaria ottenne l’indipendenza. Nel corso della prima guerra mondiale il Regno di Bulgaria dichiarò guerra alla Russia, il che portò a cambiare il nome dell’edificio intitolandolo ai Santi Cirillo e Metodio, per poi riprendere la denominazione originale nel 1920.

Chiesa di Aleksandr Nevskij

L’ultima tappa l’abbiamo riservata alla chiesa di Santa Sofia, la seconda più antica di Sofia, risalente al IV-VI secolo, e che cambiò il nome alla città da Sardica all’attuale Sofia. Anch’essa venne edificata sul sito di diverse chiese precedenti ed addirittura sui resti di un teatro romano; la chiesa attuale risale al regno di Giustiniano I, quindi al VI secolo, seppure negli anni convertita in moschea e nuovamente restaurata dopo il 1900.

Ultima tappa a Santa Sofia
Scavi a dimostrazione delle sue origini

La moschea di Banya-Bashi merita un capitolo a parte: stupenda, assolutamente meravigliosa. Ma… iniziamo da principio: come ben sapete, se avete letto della mia esperienza egiziana con l’Islam, ho riscontrato un enorme rispetto, cosa che qui mi ha letteralmente schifata. Mi sono presentata all’ingresso seguendo le regole indicate, coprendomi il capo, togliendomi le scarpe, sono entrata con il massimo rispetto ed educazione ma, al suo interno, ho rinvenuto fedeli che bivaccavano, che dormivano, alcuni che strillavano in viva vice al cellulare, alcune turiste in shorts inguinali ma il cretino integralista di turno mi ha presa di mira rincorrendomi con una pezzetta per farmi coprire le ginocchia e gridando all’orrore. Ho scattato le foto e me ne sono andata, fine della storia, avendo avuto l’ennesima dimostrazione che i problemi non li creano le religioni ma l’ignoranza umana.

La moschea di Banya Bashi

Prima di rientrare al camper abbiamo approfittato per un giro al Mercato delle Donne, fondato nel XIX secolo, ricco di prodotti agricoli profumatissimi, alcuni punti di ristoro ed alcuni stand di merci importati: vi dico solo che un chilo di fichi strepitosi l’abbiamo pagato un euro e settantacinque!

Oramai siamo abbastanza stanchi, complice il caldo devastante, quindi rientriamo alla base e ci vediamo alla prossima tappa!

Spagna/ Viaggi

Ultimi scorci di Barcellona

La migliore sangria mai bevuta!

Nei post precedenti abbiamo visitato le maggiori attrazioni di Barcellona, tuttavia ci tenevo a concludere spaziando su altri angolini meritevoli di visita o almeno di un’occhiata, magari più lontani dalle consuete rotte turistiche e dai classici “tre giorni di vacanza”.

La fortezza sulla collina
E il panorama

Una visita in totale relax (o quasi, vista la penosa scalinata che ho dovuto affrontare sotto un calore devastante) e che merita per la magnifica vista del mare iberico è la salita a Montjuic, da farsi in funicolare, con la relativa salita al castello; si tratta di una collina di 192 metri che prende il proprio nome dal catalano Mont dels Jueus, che significa “monte degli ebrei”, il cui toponimo probabilmente risiede nella presenza di un cimitero ebraico sul monte. La collina ha sempre rivestito una posizione strategica grazie alla vista sul Mediterraneo e sul fiume Llobregat, tant’è che vi sorge il castello omonimo, una vera e propria fortezza dalla quale ammirare un panorama spettacolare sul mare.

Il museo del Football Club
Gli interni futuristici del museo

Per gli amanti dello sport (non è il mio caso ma ho dovuto abbozzare) merita una visita il Museo del Barcelona Football, altamente tecnologico e realizzato con grande cura; purtroppo la visita allo stadio è interdetta a causa di lavori di rifacimento.

Il bacio…
… e le tessere che lo compongono

Il murales del bacio, un mosaico stupendo realizzato da quattromila piccole tessere raffiguranti scene di diversa tipologia ma che, unite tra di loro, vanno a formare questa meraviglia intitolata “El mundo nace en cada beso” (Il mondo nasce in ogni bacio), altro 3,8 metri e largo 8 metri, opera dell’autore catalano Joan Fontcuberta. Lo potete trovare in Plaça d’Isidre Nonell, oltretutto accanto ad un ristorantino etnico delizioso! Esso è stato realizzato nel 2014 in occasione della Trecentesima Giornata della Catalogna, ricorrenza che annualmente ricorda l’11 settembre 1714, giornata in cui la Catalogna è uscita sconfitta dalla guerra di secessione spagnola, infatti le tessere con cui è stato realizzato vennero inviate dai lettori di El Periòdico de Catalunya, scelte tra le immagini rappresentative di momenti di libertà.

Le colonne del Tempio di Augusto

In una città così creativa e moderna si possono rinvenire anche alcuni onnipresenti resti romani, tra cui le colonne del Tempio di Augusto, sistemate in maniera molto originale in un cortile di un edificio medievale al numero 10 del Carrer Paradis: il tempio di Augusto si stima risalente alla fine del I secolo a.C. e le tre colonne in argomento sono le uniche conservate integralmente, mentre una quarta è stata ricostruita ed esposta in Plaça del Rei.

Il Palazzo della Musica Catalana, non è una meraviglia?

Il Palau de la Musica Catalana vale una visita, almeno all’esterno, perchè è un capolavoro: si tratta di una delle sale da concerto più belle al mondo, il palazzo è stato progettato da Lluìs Domènech i Montaner, uno degli architetti di punta del modernismo catalano; la costruzione iniziò nel 1905 e vide il completamento tre anni dopo, mentre nel 1997 il palazzo venne dichiarato Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Ma quanto bello è?
Lasciamo perdere i prezzi di questo stand… da brivido!

La Boqueria, il mercato più famoso della città, è un tripudio di colori, frequentatissimo anche grazie alla posizione strategica sulla Rambla, ospita numerose attività commerciali: si tratta di un mercato antico, risalente ad una attività saltuaria di vendita di carne e pesce nel corso del 1200, ma solo nel 1840 venne inaugurato così come lo vediamo oggi. Vale una visita, assolutamente, con un occhio di attenzione verso i prezzi, alcuni davvero proibitivi! Perfetto per l’acquisto di una cena calda al volo a base di tapas e prodotti similari, ma non per farci la spesa se non volete lasciarci lo stipendio!

La colazione a Barceloneta

L’ultima tappa, già con lo zaino sulle spalle, l’abbiamo fatta a Barceloneta, in riva al mare dopo un’ottima colazione a base di churros (lasciamo perdere i prezzi elevatissimi ma la qualità era indiscutibile), seduti ad ammirare le onde che accarezzavano la spiaggia, godendo della brezza marina e riprendendo fiato dopo queste giornate intense e faticose! Abbiamo goduto di una città giovane, stupenda, colorata e piena di vita, tra paella e tanta sangria (sì, abbiamo bevuto anche altro, ma la sangria era divina, specie quella bevuta in un localino all’aperto nei pressi di Plaça Catalunya, una tripudio di frutta in un vino ghiacciato ottimo e aromatico), una città da visitare assolutamente, da vivere appieno, perfetta per chi ama l’arte, per chi ama la vitalità, per chi ama lo shopping (non manca nemmeno un brand, c’è tutto), per chi ama la vita!

Anche solo camminare con il naso all’insù è uno spettacolo
La Monumental, arena di tauromachia, casualmente incontrata lungo la strada per lo stadio
Viaggi

Un fine settimana tra le malghe del Montasio

Di nuovo in giro, lo so, ma noi questa vita ce la vogliamo godere al massimo e quindi vi propongo un giretto bellissimo se siete in zona Veneto o Friuli Venezia Giulia, un luogo stupendo incontaminato dove poter fare delle bellissime passeggiate, non eccessivamente faticose, gustare degli ottimi prodotti di malga e sostare con il camper anche la notte, sotto le stelle e nel silenzio più assoluto.

Posto questo articolo che sono già sulla strada del ritorno in quanto sul Montasio non c’è rete che tenga, connessione nulla con qualsiasi operatore, insomma… la natura allo stato puro!

Ci arrivate agevolmente lungo una stradina un po’ tortuosa che si dipana dall’abitato di Sella Nevea, nei pressi del comune di Chiusaforte, in Carnia, quindi nell’udinese, ma se ce l’abbiamo fatta noi con sette metri di camper ce la fate tranquillamente anche voi, l’importante è mantenere una velocità adatta alla strada di percorrenza.

Tutta la zona della val Raccolana è stupenda, lontana anni luce dalle mete turistiche più conosciute, potere trovare degli angolini incontaminati in cui l’acqua si tinge di mille colori e, in effetti, la nostra prima meta sarebbe stata lungo un fiume della zona ma, in tutta onestà, per i nostri gusti l’affollamento era già eccessivo quindi abbiamo proseguito per le malghe che, pur se affollate, lasciavano un maggior respiro grazie ai molteplici sentieri percorribili.

Arrivo alle casere

Abbiamo intrapreso il sentiero meno affollato, quello delle casere, lasciando il caos di quello che porta al rifugio, percorrendo un totale di quasi dodici chilometri tra andata, ritorno e deviazione per la malga, dove abbiamo fatto scorta di golosità casearie.

Il resto del racconto lo lascio alle immagini: vi è venuta voglia di passeggiare tra pascoli e stalle?

Ancora pochi metri e potere acquistare un buon pasto freschissimo a base di latte

Scende la notte e ci siamo solo noi e le stelle
E con l’ultima stella vi auguro la buonanotte in questo silenzio puro e cristallino…
Viaggi

Islanda – giorno 10: poche dritte in fase di ritorno.

Come promesso eccomi per poche dritte spicce, dettate da alcuni giorni di esperienza volti a confutare parte delle informazioni forniteci dall’agenzia viaggi.

Nelle mie colazioni non è mai mancato lo skyr con lo sciroppo di frutta o con i cereali
È il pasto che ti salva la giornata…

Clima: ovviamente il periodo dell’anno in cui si intraprende un viaggio rileva, comunque il clima è estremamente variabile, ma non per questo motivo c’è da viaggiare con la cabina armadio appresso. Noi abbiamo dormito negli alberghi, quindi comfort massimo, e di ciò che abbiamo portato ben poco ci è servito. Premesso che avevamo, a testa, un trolley piccolo ed uno zainetto, ma già era troppo: lì si va con solo abbigliamento tecnico (e fin qui abbiamo rispettato il consiglio), dal momento che è ciò che indossano anche i locali, tuttavia mi sono limitata ad usare un paio di pedule basse alla caviglia, con le quali ho viaggiato, nonostante i tre giorni di pioggia, riservando un paio di Ugg alle cene in albergo, almeno per comodità, ma una sneaker sarebbe bastata.

I nostri pranzi

Calzini da trekking e pedule alte? Un impiccio inutile.

Andate a vedere le balene e vi consigliano di portare sovracalzoni impermeabili e poncho? Inutili perché ti vestono loro. Magari portate un poncho per qualche escursione sotto un tempo sfigato perché l’ombrello NON si usa visti i venti impetuosi che possono colpire l’isola.

Andate alle terme? Il telo in spugna lo forniscono loro, non portatevi nulla fuorché costume e ciabattine in gomma.

Tutti gli alberghi forniscono shampoo doccia e balsamo, qualcuno anche salviette struccanti, cotton fioc e crema corpo.

In sostanza vi riassumo quanto io ho effettivamente utilizzato: un leggings da trekking, uno morbido per l’albergo e uno più stretch per il viaggio, due magliette a manica corta, una per la giornata e l’altra per la cena mentre la prima, lavata al volo, si asciugava sul termoarredo, anch’esso sempre presente.

Biancheria lavata giornalmente, quindi due pezzi di tutto.

Portare un berretto, guanti e scaldacollo, anche se non ho usato quasi nulla, ma siamo stati fortunati con il tempo.

Ultime cose: avevo un giaccone tre in uno staccabile, sotto un giacchino tecnico con cappuccio e uno di ricambio per il viaggio di ritorno. Stop.

Questo è un esempio di main dish
La salvezza del penultimo albergo con prezzi più abbordabili
Questo è considerato un antipasto
Ecco il pane con burro composto
La zuppa di pesce è considerata un antipasto


Piuttosto, se vi avanza un angolino in valigia, portate degli snacks, cibo confezionato, tutto aiuta poiché questo è un argomento dolente: l’albergo offre delle colazioni strepitose, comprese nel prezzo, scordatevi di portarvi via i panini poiché è moralmente vietatissimo, i pranzi li farete nel nulla assoluto quindi solo con degli spezzafame, mentre le cene non sono comprese nel prezzo della camera. Noi abbiamo dormito principalmente nella catena Fosshotel, favolosa, ma di solito sorgono nel nulla, quindi zero alternative e una cena per due, con una o massimo due pietanze a testa, scelte tra quelle più economiche (il pesce è l’alimento che costa meno) va dai 50 ai 100 euro per due persone , chiaramente morendo di fame dopo una giornata a scarpinare, nonostante i piatti siano abbondanti. Ricordatevi che gli antipasti sono costituiti da minestre a base di pesce o di carne, abbondanti, delle volte da terrine di pesce e pane di segale, mentre il piatto principale è sempre ricco di verdure e spesso include anche carne o pesce, mentre prima di ordinare vi porteranno spesso del pane con del burro composto da spalmare , il che aiuta a saziare. Inoltre non esiste l’acqua minerale, ma solo ottima acqua di fonte (e ci credo…); gli alcoolici vengono forniti solo da bar e ristoranti e da pochi negozi autorizzati dallo stato, a seguito di un lungo periodo di protezionismo. In un negozio di alimentari ci lascerete comunque le penne perché i prezzi sono folli ovunque. Se avete una botta di fortuna da trovare un fish and chips sappiate che li fanno buonissimi e ve la cavate con poco più di 40 euro per due persone.

Tutti i negozi aprono alle 10 del mattino e le cucine di alberghi e ristoranti chiudono alle 20, fondamentale da ricordare per non morire di fame. Se trovate qualche punto vendita facente parte della catena con il simbolo del porcellino (quello del salvadanaio, per intenderci), fate scorta perché è quello in cui vi peleranno di meno.

Almeno the e caffè in camera non sono mai mancati

La benzina: ancora dolori. Le pompe sono poche, pertanto appena ne vedete una rabboccate il serbatoio… non si sa mai, comunque il prezzo è solo un po’ più elevato del nostro. Insomma si spende molto (ma ne ero consapevole ), per contro quasi tutte le escursioni sono gratuite; personalmente abbiamo pagato solo il tour del ghiacciaio, quello delle balene e la spa.

Qualunque spesa, pure un caffè, si paga con la carta di credito: io ho usato una semplice Revolut ricaricabile, accettata ovunque, che mi ha permesso di controllare tutte le uscite direttamente con la conversione da corone in euro. Gli alberghi vi chiederanno sempre una carta di credito di garanzia, come del resto l’autonoleggio, quindi avrete bisogno anche di una carta di credito con i numeri in rilievo.

Lingua parlata: inglese. Lo parlano alla perfezione ed è molto comprensibile, tuttavia mi è capitato, in pochi casi, che nonostante il mio inglese piuttosto buono e fluente abbia trovato qualche individuo incomprensibile (però disponibile a collaborare).

Strade e limiti di velocità: le autostrade non esistono, vi sono solo strade molto scorrevoli che però seguono la morfologia del territorio, impegnando il viaggiatore a macinare chilometri su chilometri, talora su strade asfaltate ma ricoperte di ghiaia vulcanica a protezione da eventuali gelate. Il limite massimo è di 90 km/h, non vi sono controlli (almeno visibili) e infatti i locali corrono come dei pazzi, dimostrando grandi abilità nella guida vista la tipologia di strade (e detto da me che al volante sono piuttosto allegra).

Penso di aver fatto un sunto abbastanza decente per una rapida comprensione, ma semmai chiedete chiarimenti… io intanto vi lascio con una carrellata di squisitezze che ho avuto modo di degustare, almeno rendiamo onore al tema principale di questo blog, ultimamente messo un po’ in disparte.

Vi ho convinti? Sappiate che gli islandesi sono un popolo di una gentilezza estrema, molto rilassati e amichevoli, quindi… buon viaggio!

Dolci e desserts/ Un po' del mio mondo

Gelato alla crème fraîche e fiori di lavanda

Estate. La prima da quando ero una ragazzina che mi sto godendo a piene mani, ho più tempo organizzando e svolgendo quasi tutto il lavoro da casa, senza lo stress di timbrare il cartellino e producendo molto di più con enorme soddisfazione, senza continue interruzioni, senza il rumore continuo dato dalla gente maleducata che strilla nei corridoi, senza lo sbattere delle porte degli uffici…

Ho più tempo perchè provvedo alla spesa solo quando sono al perso, autoproducendo quasi tutto ed evitando i negozi come la peste: c’è ancora l’obbligo della mascherina, ma con i problemi di allergia che mi ritrovo mi è impossibile usarla, quindi volo a prendere poche cose con un foulard trasparente e me ne scappo a casa.

Ho più tempo in quanto ho dovuto privilegiare gli acquisti online, che già facevo ma che ora stanno coprendo il fabbisogno no food di casa mia al 100%, e anche se perdo le promozioni del negozio fisico pazienza, se non altro il mio tempo libero in più non ha prezzo…

Mi manca qualcosa? Forse i viaggi degli anni passati e, sotto questo sole e questo cielo terso che sovrastano il mio balcone, ritorno con la mente all’ultima volta in cui ho passeggiato tra i campi di lavanda della Provenza, sotto il tiepido sole di un tramonto spettacolare che tingeva di rosso il viola dei filari fioriti, due estati fa, l’ultima in cui siamo riusciti a portare il figliolo con noi, poco prima dl suo diciottesimo compleanno.

Rammento la mia felicità quando, coperta da un abitino azzurro e un cappello di paglia bianca, passeggiavo in mezzo ai fiori, meravigliosamente profumati, poco prima del raccolto; rammento la notte trascorsa davanti ad un laboratorio di distillazione di lavanda, la notte più profumata della mia vita 🙂

So che partirò anche quest’anno, ma mi rimane nel cuore quel viaggio meraviglioso, e lo voglio ricordare così…

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Gelato alla crème fraîche e fiori di lavanda
Tempo di preparazione 30 mins
Porzioni
2 persone
Ingredienti
Tempo di preparazione 30 mins
Porzioni
2 persone
Ingredienti
Istruzioni
  1. Mescolare bene gli ingredienti sino a far sciogliere lo zucchero e poi versare in gelatiera sino a che il tutto non sarà perfettamente freddo e mantecato.
  2. In alternativa alla gelatiera mettete il tutto nel congelatore avendo cura di mescolare il composto ogni paio d'ore con una spatola.
  3. Servire le palline di gelato con una manciata di fiori di lavanda.

Collaborazioni/ Conserve/ Economiche/ Rigoni di Asiago

Il Kaiserschmarren e la sua storia controversa

Ci ho pensato un po’ prima di pubblicare una ricetta che nella mia terra è conosciuta quasi come il pane, ma qui siamo austroungarici e magari tanto testo non fa, quindi poi ho valutato che il nostro paese è lungo lungo e arriva quasi ad accarezzare l’Africa, dove forse risulta sconosciuto o quasi.

Lo Schmarren nasce come piatto povero, della cucina contadina, molto nutriente in quanto composto da latte, uova, farina e strutto, tutti ingredienti di malga e facilmente reperibili, è tipico della zona altoatesina come di quella austriaca ed infatti l’etimologia del nome trae origine dal termine Schmer (strutto) o da schmieren (spalmare).

Sembra che lo Schmarren sia stato già presente sulle tavole contadine a partire dal 600, tuttavia l’origine del Kaiserschmarren pare risalga all’impero di Franz Josef, quindi parliamo del periodo intercorrente tra il 1830 e il 1916, nonostante la sua origine sia controversa.

Infatti c’è chi sostiene che a Franz Josef, nel corso di una battuta di caccia nel Salzkammergut sia stato servito un Holzfällerschmarren (omelette dei boscaioli) arricchita dall’uva passa, ma anche che, prima di divenire un Kaiserschmarren questa omelette sia stata una Kaiserinschmarren in quanto servita all’imperatrice Sissi che però, nota per la sua attenzione alla linea, l’avesse rifiutata devolvendola a Franz Josef (decisamente una migliore forchetta).

La terza ipotesi, che io personalmente preferisco, è quella che vede un cuoco di corte un po’ pasticcione che, al momento di estrarre lo Schmarren dalla padella, fece un gran caos distruggendolo, pertanto il piatto venne servito ugualmente mascherandolo con l’uva passa, la confettura di ribes e tanto zucchero a velo… e l’imperatore se ne innamorò!

Ad oggi è un dessert sempre presente sulle tavole austriache e sudtirolesi e riveste spesso il ruolo di apprezzatissima merenda nei rifugi alpini, dove io molti anni fa l’ho conosciuto.

Oggi ve lo ripropongo, dopo queste poche note storiche, grazie ad una ottima confettura Fiordifrutta Mirtilli Rossi di Bosco Rigoni di Asiago (lo so, non è di ribes, ma vi assicuro che regge il paragone senza rimpianti).

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Kaiserschmarren
Tempo di preparazione 10 mins
Tempo di cottura 5 mins
Tempo Passivo 30 mins
Porzioni
3 persone
Ingredienti
Tempo di preparazione 10 mins
Tempo di cottura 5 mins
Tempo Passivo 30 mins
Porzioni
3 persone
Ingredienti
Istruzioni
  1. Sbattere con una frusta l'uovo e lo zucchero (semolato e vanigliato), aggiungendo gradualmente il latte e la farina e continuando a mescolare per non formare grumi, poi unire il sale e il rhum.
  2. Mettere da parte l'impasto e iniziare a riscaldare i burro in una padella, poi versarlo cospargendolo di uvetta e cuocere a fiamma bassa coperto, a metà cottura girare lo Schmarren e proseguire a fiamma bassa anche sull'altro lato, sempre tenendo la padella coperta. Prima di spegnere la fiamma cospargere con un po' di zucchero e lasciar caramellare.
  3. Non è necessario prestare molta cura nel rigirare l'omelette in quanto andrà comunque servita a pezzettoni, cosparsa di confettura e di abbondante zucchero a velo. Va consumata calda.
Recipe Notes

Nel caso preferiate delle altre confetture o composte la scelta è ampia, la ricetta è molto versatile, tant'è che in passato l'ho realizzata anche con miele, noci e cannella.

Etniche/ Light/ Ricette vegetariane/ Secondi

Melanzane al caprino

Non mi faccio viva dai primi mesi dell’estate, lo so, ma avevo bisogno di un periodo di stacco totale, provata da un caldo infernale, dagli oramai ricorrenti problemi con i genitori anziani, stanca morta da non reggermi in piedi, da crollare sul divano all’ora di cena per poi non riuscire a dormire a causa della troppa stanchezza.

Mi sono dedicata a me stessa, ho spento il pc, ho trascorso più tempo possibile al mare, ho nuotato per ore ogni giorno, ho bevuto litri e litri di acqua e ho curato l’alimentazione come non mai, ho voluto iniziare un percorso che mi aiutasse a riprendere la forma perduta a causa dell’eccessivo stress e delle preoccupazioni, ho chiuso completamente porte di stanze che non mi appartenevano più, ho lasciato fuori maleducazione e cattiveria, ho deciso che la mia strada dev’essere questa, un blog indipendente, aperto a delle collaborazioni perché sono sempre stimolanti, ma con la libertà di decidere da sola quali passi intraprendere, quando e se pubblicare.

Ho trascorso due settimane in Francia, una vacanza bellissima e a mia misura che mi ha ricaricata, il tutto documentato in una quantità esagerata di scatti, molti ancora da sistemare e che prima o poi vedranno la luce anche su queste pagine, ma con calma perché sto avendo una vita molto complicata e faticosa…

Oggi la proposta è semplice, sperimentata dopo aver visto questo post, incuriosita dal sapore mediorientale di questa ricetta, sicuramente perfetta per il regime alimentare che sto seguendo: c’è chi la trova favolosa, da far esplodere le papille gustative, e penso che ciò sia legato sia alla qualità della melanzana scelta, sia a quello del sommacco, purtroppo di non facile reperibilità in Italia. Quello utilizzato nella ricetta dalla quale ho tratto gli ingredienti è a base di melograno essiccato, sicuramente più acidulo, mentre io ho usato il classico sommacco libanese, che già di suo è complicato da trovare. Il sapore, anche a causa della pessima qualità della melanzana da supermercato, sicuramente ne ha risentito: sperimentate, ma solo se avete le melanzane dell’orto e cercate di trovare un buon sommacco, fresco e saporito, altrimenti lasciate perdere.

Il caprino a me non piace, ma qui ci va, ci va proprio perché il connubio di sapori che si ottiene è perfettamente equilibrato, con la sapidità del formaggio, l’amarognolo dell’ortaggio e l’asprigno del sommacco. E’ la perfezione. Se gli ingredienti sono perfetti (i miei non lo erano).

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Melanzane al caprino
Tempo di preparazione 5 mins
Tempo di cottura 45-60 mins
Porzioni
Ingredienti
Tempo di preparazione 5 mins
Tempo di cottura 45-60 mins
Porzioni
Ingredienti
Istruzioni
  1. Lavare bene le melanzane e disporle in una teglia intere e con il picciolo, nel frattempo portare il forno a 190° ed infornare per 45-60 minuti (io ho usato la modalità ventilata), in maniera tale che la polpa si cuocia al vapore grazie alla buccia. Poi tagliarle a metà e condirle con sale, pepe ed olio, disporvi qualche cucchiaiata di caprino, del sommacco ed ancora un giro d'olio. Servirle ancora calde.

Ifood

Il mio debutto alla prima edizione dell’Oderzo Food Fest!

Sono passati molti giorni da quando sono salita su quel treno preso al volo, alla stazione di Oderzo, piccolo borgo trevigiano, ancora emozionata dalla mia prima esperienza “Ifoodiana” in un contesto ricco di esperienze sensoriali e vissuto in un ambiente ricco di umanità, di quella gentilezza tipica dei piccoli centri, di un’atmosfera un po’ paesana pur nella sua squisita eccellenza.

Non ce l’ho fatta prima di oggi a mettere mano a queste righe e sino ad ora ho avuto modo di condividere l’evento solo sui social, a forza di hashtag e di links, ma oggi sono qua, scatti alla mano testimoni di un evento che quest’anno ha avuto il suo via, un evento organizzato con una passione che mi ha lasciata senza fiato, con un entusiasmo tangibile sin dal primo incontro con Federico, sant’uomo che si è fatto un mazzo così gestendo il tutto con un’energia incredibile e sempre con il sorriso sulle labbra, nonostante la stanchezza immensa, aiutato da pochi collaboratori che al pari suo hanno lavorato come dei pazzi!

 

countryhotelalgallo

Il Country Hotel Al Gallo che ci ha ospitate

hotelalgallo

algallo

algallo

Aperitivo "mancino" (alternativo) veg

Aperitivo “mancino” (alternativo) veg

aperitivo

cittàdioderzo

Al di là dell’emozione, della bellezza della città, della fortuna di aver avuto un tempo meraviglioso e mite, voglio descrivervi gli eventi principali e gli incontri più riusciti che ho avuto modo di fare miei nella loro totalità.

Voglio iniziare con un evento un po’ di parte visto che riguarda la nostra Vaty, piccola grande donna che ovunque ci metta le mani riesce a realizzare dei successi, così come è stata la presentazione non solo del suo libro, ma anche della fluffosa di Monica, occasione in cui è stato dato modo di assaggiarne alcune tipologie nonché di preparare in diretta i frosting con cui sono state decorate: anche per noi che di fluffose ne sformiamo, a mio avviso, ciò ha rappresentato un punto a favore… ad esempio io non mi ero mai spinta nella preparazione della fluffosa al the matcha con frosting di mascarpone ed invece… dopo averla assaggiata sono pronta per provarci, troppo buona per non assaggiarla di nuovo! E per non proporvela, quindi stay tuned!

lefluffose

frostingmascarpone

fluffosacaffè

A seguire, dopo le presentazioni dei libri di Monica e di Vaty (ma voi che mi leggete oramai li conoscete), c’è stato l’incontro con le imprese, sempre in un clima un po’ giocoso e leggerissimo: senza nulla togliere a nessuno inizio da Infermentum, che mi ha entusiasmata!

panettoniartigianali

Nata da un gruppo di quattro amici che, a dispetto della loro formazione distante anni luce dai lievitati, hanno deciso di sfornare panettoni! Un’idea nata dalla passione, indubbiamente, ma che li ha portati (come sempre fanno le passioni) ad iniziare un’attività ben presto inaspettatamente al di sopra della loro piccola organizzazione e che, in tempi relativamente brevi, li ha accompagnati verso una realtà dolciaria artigianale non di poco conto! Ho assaggiato i loro prodotti, tra i quali spiccano il panettone con i fichi secchi e l’amarbicò, lievitato a base di albicocche ed amaretti, un’esperienza sensoriale da provare…

Ancora due punti a favore di questi ragazzi, che possono sembrare irrilevanti ma che mi hanno colpita da subito: l’uso di canditi prodotti da loro, vera frutta con acqua e zucchero e non quelle cose gommose industriali che molti temono di trovare all’interno di un dolce; il packaging, uno splendido impacchettamento di carta marroncina che ricorda quella delle vecchie botteghe di quartiere, insomma un aspetto vintage sull’onda di un ricordo.

Seconda azienda, non per ordine di rilevanza, ma seguo i miei ricordi olfattivi… la Latteria Sociale del Cansiglio! Ragazzi, una cosa divina e, senza tanti giri di parole, vi dico solo: ricotta affumicata, perfetta sia da grattugiare che da consumare a pasto, formaggio “Cru”, prodotto dal latte crudo proveniente dalla mungitura diretta immediatamente al caseificio, quindi senza il consueto raffreddamento (delicatissimo) e il “Pannarolo”, formaggio a base di panna, una cosa divina che si scioglie a contatto con il palato. Ci sono stati spiegati molti tecnicismi, che non sto qui ad elencarvi, ma sappiate solo una cosa: i formaggi del Cansiglio sono la fine del mondo! Per quanto ne so li potete trovare presso i negozi Cuorebio e Naturasì, in quanto trattasi di partners di vendita, ma se aveste l’occasione di farvi una gita in Cansiglio non ve ne pentirete in quanto è una zona meravigliosa!

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Passiamo al Molino Rachello, che già prima di incontrare avevo conosciuto sommariamente per il tramite del loro sito: bellissimo! Farine di ottima qualità, semole eccezionali: non sono una gran panificatrice, ci sto provando grazie a della pasta madre regalatami da Stefania, ma ancora riesco solo a fare danni, però non per questo non posso apprezzare la qualità di una buona farina, certificata biologia dal 1999 e da giugno presente in e-commerce. Provatela e poi ne riparliamo!

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Abbiamo ascoltato anche molte informazioni relative ad Unicarve, che si occupata di stilare una sorta di documento di identità per le carni prodotte dagli allevatori veneti: in un periodo in cui sul mercato viene immessa ogni tipo di schifezza non è cosa da poco ed oltretutto abbiamo assaggiato dei crostini con una battuta condita solo da un pizzico di sale e una goccia di olio Turri del Garda… questo sì che è street food!

Anche Neff ci ha ospitati per un aperitivo: onore a Casa Paladin e a Bosco del Merlo per il vino offerto (andava detto, una qualità incredibile) innanzitutto e poi posso solo rimandarvi ai loro prodotti di ottimo design unito alla tecnologia tutta tedesca della loro produzione… il loro sito dice tutto, inutile dilungarsi su noiosi aspetti tecnici, posso solo dire che un forno Neff nella propria cucina dev’essere una gran figata per qualsiasi appassionato di spignattamento 🙂

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L’appuntamento raffinato della giornata è stato al Gellius per il pranzo, uno spettacolo di ristorante stellato che sorge su un sito di resti romani: bellezza assoluta, eleganza raffinata, atmosfera piacevole e conviviale e cibo eccellente! Posso fare un applauso al dessert? Un gelato di nocciole su un letto di vellutata di mango che mi ha incantata (non che il resto fosse irrilevante, ma quel dolce mi ha toccato i sentimenti 🙂 )!

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Questa edizione dell’Oderzo Food Fest è stata la prima in assoluto e l’ho adorata dal primo momento poiché l’atmosfera era proprio quella di una festa paesana, in perfetta armonia con la tipologia geografica che ci ha ospitate, ma il tutto posto su un gradino di eccellenza ben superiore ad una sagra di paese, in più armonizzato dalla simpatia del mio gruppo di bloggers di Ifood, delle quali non ne (quasi) conoscevo nemmeno una di persona e con cui invece mi sono trovata a mio agio sin dal primo istante, nonostante il mio essere piuttosto orsa, tant’è che ancora siamo in quotidiano dialogo tramite un gruppo whatsapp sopravvissuto alle esigenze organizzative dell’evento.

Anzi, e ve lo dico in segreto, nell’aria opitergina c’è l’idea di creare un Villaggio del Natale in linea con la mia amatissima tradizione nordica… chissà non ci scappi un weekend per un tour enogastronomico 🙂

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La Sosteria, perfetta per una merenda sfiziosissima

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Etniche/ Primi

Puntini di sospensione e noodles al pollo

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Ci sono giornate come frasi dense di punti di sospensione, in cui non sai nemmeno se e come finirà,

ci sono giornate piene di punti interrogativi, quando ogni certezza diventa una scommessa con se stessi,

ci sono giornate costellate di punti esclamativi, quelle in cui ti senti un leone e sei pronto a sbranare l’umanità.

Le mie giornate più recenti sono traballanti tra i punti di sospensione e quelli interrogativi, con un infinito alfabeto di stanchezza che si ripete sempre uguale a se stesso come le note di un refrain…

Sono momenti in cui ogni tanto spunta un punto esclamativo, uno di quelli ricchi di convinzione perchè sai che non puoi continuare a correre facendo lo slalom tra sospensioni ed interrogativi, sai che serve un gesto di amore verso se stessi, un qualcosa che va al di là dell’indossare un abito che fa star bene o un velo di trucco del colore giusto.

Questo mio punto esclamativo si chiama alimentazione, quella che troppo spesso ho tralasciato guadagnando chili inutili e perdendo energia: oggi ricomincio da me, da un tema scritto appositamente per me stessa, perchè il tempo manca, perchè mi voglio coccolare con un cibo appagante, perchè sono disposta a fare dei sacrifici solo se la pancia è comunque soddisfatta, perchè riesco a condurre il filo del discorso solo se non è troppo complicato.

Ho scoperto i noodles e sempre più spesso sperimento, provo, tento… giocando con gli ingredienti che ho a disposizione perchè l’importante è il risultato che dev’essere assolutamente light senza perdere in gusto, colore e profumo, perchè anche i punti sospensivi possono divenire dei punti fermi, perchè le interrogazioni possono trasformarsi in esclamazioni di gioia per la mia costanza!

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Ingredienti:

100 g. di noodles di riso

olio di sesamo q.b.

un pizzico di sale aromatizzato

salsa di soia q.b.

salsa di pesce q.b.

120 g. di petto di pollo

una grattugiata di rafano fresco

cavolo cappuccio q.b.

porro (parte verde) q.b.

Procedimento:

Riscaldare dell’acqua per ammollarvi i noodles, come da istruzioni sulla confezione e, nel frattempo, ripassare velocemente in un wok il petto di pollo tagliato a pezzettini con un pizzico di sale aromatizzato (non amo la carne troppo intrisa di salsa di soia), poi aggiungere un goccio di olio di sesamo, la salsa di soia e quella di pesce ed unire le verdure tagliate fini, farle saltare un po’ ed aggiungere una generosa grattugiata di rafano.

Non appena i noodles saranno pronti, scolarli ed unirli al condimento nel wok, far saltare ancora un po’ il tutto sino ad amalgamare gli ingredienti.

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Etniche/ Ricette vegetariane

Zuppa con i noodles (senza alcuna cognizione di causa)

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Finalmente è arrivata la bora a spazzare via la nebbia dai cieli della mia Trieste, dopo giorni di umidità intensa e coperti da una coltre di nebbia da far concorrenza alla Val Padana, un vento fortissimo che ci ha regalato l’aria tersa, il cielo privo di nubi, un sole che è una meraviglia: raffiche a 120 chilometri orari che hanno iniziato a mettermi a dura prova nei miei spostamenti in scooter, nonostante chi lo usi sempre sappia quali sono i punti “caldi” (per modo di dire… 🙂 ) in cui prestare maggiore attenzione, dove le raffiche si incanalano creando dei vortici d’aria pericolosi e in grado di rovesciare chiunque.

Però fa freddo, tanto freddo, le raffiche si insinuano ovunque, non servono abiti caldi se il vento è in grado di oltrepassarli, sono necessari giubbotti lunghi a tenuta perfetta, guanti, sciarpe e tutto ciò che aiuti a bloccare gli spifferi gelidi; in questa settimana ho usato tanto lo scooter tra le corse in ufficio e tutti i colloqui con i docenti di mio figlio, tre pomeriggi a raggiungere una scuola ubicata in una zona dove la bora soffia ancora più forte rispetto al centro cittadino… erano anni che non soffrivo così tanto il freddo!

Poi uno si aspetta di rincasare e trovare un ambiente caldo e confortevole, di sentire immediatamente le guance andare in fiamme per il calore domestico… e invece niente, tiè! Da quando ci hanno applicato le termovalvole l’impianto di riscaldamento non funziona più a dovere e in casa a stento si raggiungono i 18 gradi, che per una freddolosa come me è un dramma, quindi vivo di the caldo e zuppe a volontà 🙂

Spesso rincaso molto tardi rispetto alle ore canoniche dei pasti, quindi bisogna organizzarsi prima e siccome non sempre ci riesco, stavolta ho provato a rendere “zupposi” dei noodles che richiedevano solo quattro minuti di cottura (meglio di così…), usando un po’ gli ingredienti a casaccio, senza alcuna cognizione di causa, per l’appunto, ma ottenendo un pasto caldo buono buono che ho poi ripetuto più volte!

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Ingredienti:

olio di sesamo q.b.

mezzo porro (ho usato la parte verde)

una manciata di funghi (quelli che volete, qui ho usato i porcini freschi, ma la volta precedente ho utilizzato quelli essiccati in casa dell’anno precedente)

salsa di soia q.b.

fish sauce q.b.

un pizzico di sale

125 g. di noodles di frumento

acqua a volontà (con un litro ne escono tre belle scodelle piene)

Procedimento:

Tagliare il porro a rondelle e farlo saltare nell’olio di sesamo caldo, poi unire la salsa di soia (io ho utilizzato gran parte di fish sauce e poca di soia perché sono intollerante a quest’ultima), aggiungere l’acqua, versare anche i funghi affettati, aggiustare di sale e coprire per pochi minuti; versare anche i noodles e cuocere per il tempo indicato sulla confezione (4 minuti nel mio caso)… pochi minuti per una zuppa saporita e appagante!

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