Avevo già letto un precedente romanzo di Silvia Avallone, inizialmente sottostimato e del quale magari ne parliamo tra qualche post, quindi sono stata incuriosita da “Cuore nero”, ambientato a Sassaia, un paesino di montagna oramai spopolato, difficile da raggiungere, privo di quasi qualsiasi servizio. A Sassaia però arriva dal nulla una nuova abitante, Emilia, trentunenne “adolescente” negli atteggiamenti, nel dolore, forse anche nella immaturità, e tale arrivo sconvolge la comunità locale di benpensanti e di calma piatta, in cui tutti si conoscono e dove la presenza di una “straniera”, oltretutto non delle più ordinarie, inizia ad alterare gli equilibri consolidati da tempo.
Tra gli abitanti di Sassaia spicca la figura di Bruno, il maestro del paese, quasi coetaneo di Emilia nonostante alla prima lettura sembra quasi tra i due vi possa essere un vasto divario di età; ambedue portano con sè un dolore antico, ambedue rivestono un’aura gotica che permea l’intero romanzo, sin dal titolo e dalla copertina. Sono due persone sole, sofferenti e chiuse in se stesse, nel proprio dolore, però si incontrano e si innamorano, pur portando con sè profonde cicatrici: Bruno è accompagnato da una perdita che nel romanzo si ispira ad una storia tragicamente accaduta, è un sopravvissuto per caso fortuito, probabilmente perchè il destino quel giorno aveva deciso diversamente, mentre Emilia porta con sè una cicatrice profonda, insuperabile, che scopriremo solo nelle ultime pagine, conosciuta unicamente dal padre Riccardo che, nonostante tutto, le è sempre rimasto accanto, anche negli anni più bui, senza mai perdere fiducia in lei, senza mai vacillare nonostante l’opinione pubblica, le accuse, l’odio non detto dei più, un padre che le permette di rinascere dalle profondità degli inferi. Riccardo è un punto di luce in un romanzo oscuro, al pari di Basilio, un compaesano che darà fiducia ad Emilia permettendole di esprimere le proprie doti artistiche e di restauro, facendo sì che anch’ella possa portare qualcosa di buono a Sassaia, nonostante le malelingue più feroci, tra cui il veleno scaturente dalla gelosia di una collega di Bruno, che scava nel passato di Emilia per poterla colpire nel punto di maggiore fragilità. Sarà proprio tale ferocia che la porterà, per un breve periodo, a fuggire da Sassaia alla volta di Milano, alla ricerca di Marta, amica degli anni più bui, ma che è riuscita a rifarsi una vita di successo, lontana da quella povertà che l’ha erosa negli anni, dimostrandosi sgamata anche nelle situazioni più pesanti, ma che affronta il mondo a muso duro cercando di infondere la medesima sicurezza anche in Emilia, pur se con scarsi risultati.
E’ un romanzo che ci accompagna tra vare tematiche sociali, dalla pena quale rieducazione, alla frustrazione dell’umiliazione che talora dà adito ai gesti più feroci, quelli che ti segnano per la vita, c’è il concetto di irreparabilità del danno commesso, ma anche della costante possibilità di costruire qualcosa di bello pur se dalle ceneri del male, di cercare di sviluppare quell’ultimo barlume di bontà che ci è rimasto, di far sì che non sia il male a prevalere. E’ un romanzo tosto e crudo, ma bellissimo, pieno di speranza nonostante tutto perchè se su tale devastazione nascono il bene e l’amore allora tutto è possibile. Ed è scritto davvero benissimo.
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